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“Lasciateci respirare” 25 anni di battaglie per la comunità

Il Comitato popolare, nato a Monselice, si è mobilitato in tutta la Bassa Padovana. Le lotte contro cementifici, elettrodotti, escavazione dei Colli e centri commerciali. Un esempio per tutto il Veneto

francesco jori
2 minuti di lettura

MONSELICE. Un respiro profondo e rigenerante per la Bassa padovana, lungo un quarto di secolo: compie 25 anni il Comitato popolare “Lasciateci respirare”, ed è una ricorrenza celebrata al meglio con l’ultimo risultato ambientale in ordine di tempo, lo stop definitivo all’ipotizzato mega centro commerciale progettato a Due Carrare, a ridosso del gioiello del Catajo.

Un percorso che parte da un funerale dell’aprile 1996, nella chiesa del Carmine a Monselice, dove il parroco don Francesco Buso all’omelia ci va giù secco: «Sono stanco di celebrare funerali di lavoratori dei cementifici». Si riferisce alla presenza in zona di ben tre impianti dislocati nel raggio di appena cinque chilometri, operanti da quarant’anni, e che emettono inquinanti pari a quelli di trenta inceneritori.

NASCE IL COMITATO

La sferzata del sacerdote produce un effetto immediato: in parrocchia si organizza un’assemblea cui partecipano alcune decine di persone, e si decide di dar vita al Comitato. Il nome glielo inventa lì su due piedi una di loro, Flora: «E lasciateci respirare!».

Sottolinea Francesco Miazzi, tuttora anima e motore dell’iniziativa: «Si rompe un tabù, si parla finalmente anche dell’inquinamento prodotto, dell’aria irrespirabile, dei malati di tumore, dei morti, dell’impatto dei fumi e delle centinaia di camion che ogni giorno attraversano la zona». È solo l’incipit di un lungo cammino, «che farà la storia di tanti territori, che apre il conflitto tra ambiente e lavoro, tra salute e reddito: un conflitto che costringe a ridiscutere il modello di produzione, andando a prefigurare una diversa valorizzazione del territorio, in grado di garantire un reddito in maniera rispettosa della salute e dell’ambiente».

I CEMENTIFICI

Quello sui cementifici rimane il filone centrale delle mobilitazioni, con un impegno tenace quanto costante: premiato dal risultato, visto che dopo una lunghissima vertenza con risvolti anche giudiziari nel 2014 i camini di Italcementi a Monselice smettono di fumare, e lo stabilimento chiude definitivamente i battenti.

Nel frattempo, il Comitato consolida la sua presenza e autorevolezza mobilitandosi su più fronti ambientali: dalla proliferazione selvaggia delle stazioni di telefonia mobile all’attività di escavazione negli Euganei, dai progetti di cementificazione nell’area del Parco Colli al traffico di rifiuti tossici e nocivi, dalle discariche abusive all’ipotesi di mega impianti di biogas.

L’ELETTRODOTTO

Nel 1997, ad appena un anno dalla nascita, mette mano a un’altra lunga battaglia destinata a durare dieci anni, contro la costruzione di un elettrodotto da 132 kv, principalmente al servizio delle tre cementerie. Contravvenendo alle indicazioni del piano ambientale, Enel vuole realizzarlo in linea aerea, attraversando l’area del Parco Colli. La mobilitazione popolare, sostenuta anche da alcuni sindaci, passa attraverso occupazioni di cantieri, manifestazioni, presìdi in Regione, obbligando a modificare il progetto con l’interramento della linea e la schermatura dei cavi vicini alle abitazioni.

LE ALTRE BATTAGLIE

Tra gli altri fronti del Comitato, anche in collaborazione con altre associazioni ambientalistiche della Bassa, da segnalare poi quelli sull’ampliamento della discarica di Sant’Urbano, l’impatto ambientale prodotto da Sesa a Este, la bonifica della C&C di Pernumia, il già citato stop al centro commerciale di Due Carrare, l’inquinamento delle acque da Pfas in una vasta area del basso Veneto, la mobilitazione per la salvaguardia e valorizzazione del Parco Colli.

Conclude Miazzi: «La nostra battaglia e il nostro impegno continuano. Proprio in questi giorni, con la pubblicazione dell’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, tutti siamo costretti a prendere atto che la situazione che si sta creando richiede un impegno straordinario per dimezzare le emissioni entro il 2030, unico modo per cercare di frenare l’irreversibilità dei fenomeni estremi cui stiamo assistendo. La stessa pandemia da Covid 19, oltre a segnalare una maggior diffusione nelle aree più inquinate, ci pone l’obbligo di cambiare modelli di produzione e consumo».

A maggior ragione in un’area critica come la Bassa padovana, per decenni zona depressa, e da tempo insidiata da minacce ambientali: a partire da quelle escavazioni selvagge sui Colli Euganei cui giusto cinquant’anni fa si è posto rimedio con una legge che ha sancito la chiusura delle cave.

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