Minacce e blitz punitivi, la legge del clan nel Padovano
Guardie del corpo per scacciare l’incubo: imprenditori padovani terrorizzati ricorrevano alla sicurezza privata. I Bolognino garantivano soldi per Ferrari e yacht
Carlo Bellotto
PADOVA. Vigilanza privata o guardie del corpo per riuscire a lavorare. O meglio per provare a scacciare un incubo fatto di minacce e pestaggi. Dalle carte dell’inchiesta Camaleonte emerge in modo netto quanto la ’ndrangheta facesse paura e intimorisse gli imprenditori presi di mira.
Non è un caso se Stefano Venturin della Gs Scaffalature, non appena viene a sapere che Sergio Bolognino sta per arrivare in azienda assieme ai fratelli, chiede la protezione di due investigatori privati. I carabinieri infatti quando arrivano, quel 2 aprile 2013 a Galliera Veneta, identificano tutti.
Trovano Arturo Russo, titolare della “Consulenze Investigative” che dichiara a verbale di aver ricevuto l’incarico da Stefano Venturin. E Russo – si legge nell’ordinanza – riferisce di aver visto arrivare tre persone che entravano in azienda e di aver udito una voce che «con forte accento calabrese, obbligava tutti a scendere al piano terra». Dopo aver sentito gridare aiuto, Russo interviene constatando che Venturin aveva «un’ecchimosi sullo zigomo e barcollava ... stava perdendo i sensi».
VITA NEL TERRORE
Sempre in azienda c’è Enrico Pavanetto, politico padovano che dichiara ai carabinieri di essere titolare dell’agenzia investigativa “Padova Sicurezza” e di essere intervenuto in seguito dell’incarico ricevuto da Venturin. Riferiva di aver sentito «urla, colpi secchi da colluttazione.
Dei meridionali lo stavano trattenendo per le braccia sbattendolo avanti e indietro e lui aveva le labbra gonfie, rosse, segnate dal sangue, diverse tumefazioni sul viso, in particolare sul lato destro». Lo stesso Pavanetto, intervenuto per porre fine al pestaggio racconta che «tutti e tre i soggetti cominciavano a spintonarmi, intimandomi di non impicciarmi. Si avvicinavano con fare minaccioso e in stretto calabrese».
Guardie del corpo
Ma Russo e Pavanetto non erano soli. C’era anche Andrea Rampin che conferma tutto. Era stato contattato da Pavanetto per tutelare un imprenditore minacciato dai calabresi. Era al piano superiore dell’azienda per non essere visto dai calabresi che erano in arrivo e aveva notato dapprima frequenti passaggi, come d’ispezione, da parte di una Panda e poi l’arrivo di una seconda vettura dalla quale scendevano in tre e si mettevano a parlare con il titolare e la moglie. Sentite le urla, Rampin, assieme ai colleghi è entrato nell’ufficio notando che un calabrese “comandava” l’azione degli altri due.
Ti sciolgo nell’acido
I Bolognino sono indagati di usura visto che a fronte di un prestito di 10 mila euro a Diego Carrano, padovano (titolare all’epoca della Elite Lease srl che nel 2013, aveva sede in via dell’Industria 64 a Padova) si facevano restituire tre assegni per un importo di 13 mila euro. Minacciandolo poi di squagliarlo dentro l’acido.
La Ferrari 430

Agli investigatori risulta che Carrano, conosciuto Michele Bolognino si rivolgeva a lui per il recupero dei propri crediti. Bolognino si sarebbe fatto da garante per l’acquisto di una Ferrari F430 F1 del 2006 che Carrano aveva acquistato da Giglio, non onorando l’acquisto. O meglio versando i primi 40 mila euro e non i restanti 40 mila (il valore del bolide era all’epoca di 80 mila euro). Carrano viene minacciato ma riesce a rendersi irreperibile. La banda alla fine riesce a trovarlo. Ma i carabinieri - sempre in ascolto - decidono di intervenire e bloccano l’auto, un’Audi con targa tedesca nel parcheggio di una importante concessionaria della città. A bordo sono in tre e c’è pure Michele Bolognino.
Manette per lo Yacht
Nel 2013 Sergio Bolognino venne arrestato per un furto di barche di lusso su disposizione del Gip di Genova. L’accusa era che venivano rubati e poi rivenduti all’estero. La prima barca rubata fu il “Kasioka” e da qui il nome l’operazione. —
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