Coop, premi e stipendi d’oro ai vertici paghe basse e contributi evasi ai soci
Sei degli otto indagati sono padovani. Coinvolta la Work Ambiente: sequestrate ville, orologi e soldi. 311 lavoratori irregolari
Ilaria Purassanta
. Premi e incentivi fino a 70 mila euro l’anno a una rosa ristretta di soci (fra i quali gli amministratori di fatto) e gli altri lavoratori sottopagati rispetto al contratto nazionale. È una delle sfaccettature del quadro che ha tracciato la Finanza di Pordenone della cooperativa Work ambiente di Fanna, paese del Pordenonese, finita al centro di un maxisequestro preventivo per equivalente da 4 milioni di euro, pari all’imposta evasa.
I numeri
Gli inquirenti hanno ipotizzato una frode fiscale con fatture per operazioni inesistenti per 5,1 milioni di euro, redditi sottratti a tassazione per 5,4 milioni e contributi e ritenute non versate per 625 mila euro. I risultati dell’operazione “Clepe et labora”, coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica Federico Baldo, sono stati illustrati ieri dal comandante provinciale della Guardia di finanza di Pordenone, il colonnello Stefano Commentucci. Al suo fianco il tenente colonnello Stefano Izzo e il capitano Andrea Gobbi del nucleo di polizia economico finanziaria.
IVA ABBATTUTA
La Finanza ritiene la Work ambiente, collegata al Work group di Padova (dove è stata effettuata una perquisizione), una «cooperativa spuria», in cui sono state disattese le finalità mutualistiche. «Accanto», ha approfondito il colonnello Commentucci, « alle cooperative oneste, che con i loro soci lavoratori operano rispettando le regole, vi sono anche ulteriori cooperative spurie, che hanno ben poco di legale e che per questo sono in grado di applicare prezzi ridotti estromettendo dal mercato i concorrenti». Il comandante ha spiegato come la Work ambiente fosse «un mero serbatoio di forza lavoro, privo di strutture aziendali» e operasse «per tramite di appalti “girati” da un altro soggetto giuridico a seguito dei quali emetteva fatture con Iva che invece di essere versata allo Stato veniva “abbattuta” tramite falsi costi».
Lavoratori sfruttati
«In tale scenario», ha specificato Commentucci, «non vi era alcun rispetto delle disposizioni che dovevano qualificare una cooperativa di lavoro, come un reale scopo mutualistico e il corretto svolgimento delle assemblee, con il fattuale coinvolgimento dei soci per l’elezione degli organismi dirigenti e l’approvazione dei bilanci». Gli inquirenti hanno accertato che la coop di Fanna ha tagliato le buste paga dei lavoratori giustificandosi con la «crisi del settore della logistica». Contrasta con questa versione dei fatti l’andamento del fatturato di Work ambiente, balzato da 3 a 7,6 milioni di euro in tre anni, dal 2014 al 2016. Lo stato di crisi impone tagli uguali per tutti, qui invece per la Finanza pochi soci ricevevano lauti stipendi e gli altri in media 1.500 euro al mese. Sulla stampa sono state riportate le iniziative di protesta messe in atto in passato da alcuni dipendenti del gruppo contro le condizioni di lavoro: 311 i lavoratori irregolari.
Trasferte fittizie
Una parte dei salari figurava come indennità di trasferte, non soggette a dichiarazione fiscale. «I soci lavoratori, in aggiunta allo Stato», ha sottolineato Commentucci, «risultano le principali vittime delle condotte illecite individuate, sottopagati in violazione delle norme contrattuali nazionali e privati dei contributi anche tramite il ricorso a fittizie trasferte». Le Fiamme gialle ne hanno chiesto conto ai dipendenti, scoprendo che le trasferte erano in tutto o in parte inesistenti. La Procura ipotizza stipendi oggetto di evasione contributiva e fiscale.
Il giro d’affari
Sono nove le società coinvolte nell’inchiesta: 5 a Padova, 2 a Bari, 1 a La Spezia. La coop di Fanna, specializzata in servizi di movimentazione merci, autotrasporto per conto terzi e facchinaggio, secondo la Finanza era il principale utilizzatore di manodopera. Le altre sono ritenute società cartiere, che hanno emesso le fatture per operazioni inesistenti. Ventisei i subappalti: 11 a Padova, 2 a Vicenza, 2 a Venezia, 1 a Verona, 1 a Rovigo), 3 a Pordenone, uno a Bologna, 5 Russia e un subappalto in Serbia.
Gli indagati
La Procura ha contestato la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti a Raffaello Ercolini, 68 anni, di Cadoneghe, in qualità di rappresentante legale di Work ambiente (a lui viene contestata l’omessa dichiarazione per il 2015) e Stefano Pecorari, 44 anni, di Albignasego, indicato come il gestore dell’attività amministrativo contabile e lavorativa della coop di Fanna. Specularmente sono stati indagati per l’emissione di fatture false gli amministratori delle sei aziende che le hanno emesse: Pecorari perché ritenuto amministratore di Cristallo società cooperativa, Meccano società cooperativa, Obiettivo uno società cooperativa; Marco Coda, 42 anni, di Casalserugo (Cooperativa Valpadana servizi a responsabilità limitata); Elena Facci, 41 anni, di Grantorto (Effeci società cooperativa a responsabilità limitata); Fabrizio Antonio Amatori, 50 anni, di Padova, e Gianfranco Tirreno, 76 anni, di Montegrotto Terme (Lend service srl).
Soldi nella scarpiera
Il gip Rodolfo Piccin ha emesso un sequestro per equivalente che ha aggredito anche i beni dei due indagati ritenuti dalla Finanza gli amministratori della cooperativa di Fanna (e non solo nei confronti della Work ambiente). Sigilli sulle ville (5 gli immobili sotto sequestro in provincia di Padova) e congelati 500 mila euro fra conti correnti e contanti. In una scarpiera nel garage di un indagato un maresciallo della Finanza ha trovato 50 mila euro, la maggior parte in banconote da 500 euro. Sono stati sequestrati anche orologi di lusso: Rolex e Panerai (nati come cronografi per gli incursori della Marina). Grazie al sequestro per equivalente nei confronti dei beni degli amministratori è stato possibile «recuperare risorse per lo Stato» che altrimenti sarebbero andate perdute.
La prassi, svelata da Commentucci, prevede la messa in liquidazione delle coop spurie in caso di accertamenti, in modo che risultino incapienti alle richieste risarcitorie dello Stato. —
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