VENEZIA. Modello Dublino anche a Nordest? Perché no. Giulio Buciuni è un cervello emigrato in Irlanda: oggi vive a cavallo tra il profondo veneto (è originario di Oderzo) e la nuova frontiera europea di Dublino. La Repubblica d’Irlanda ha 4 milioni di cittadini, quasi come il Veneto: Dublino ne conta 1,2 di milioni, più o meno come l’area centrale veneta. Ma i parallellismi sono finiti qui, cattolicesimo a parte. Le storie industriali sono ben diverse e nella Repubblica verde la manifattura se n’è andata da mo’.
La grande differenza però, più che nel passato, è nella tensione al futuro.
«Qui nascono continuamente idee e il fermento è contagioso – dice Buciuni, docente al Trinity College Dublin – invece, quando torno, osservo un nucleo di note imprese manifatturiere tirare avanti ma fatico nel vedere l’emersione di nuovi settori e giovani imprenditori e ho grande preoccupazione per il ciclo di vita del made in Italy, alcune fra 20 anni forse non ci saranno più e serve una nuova base di imprenditori».

Dublino non è la Silicon Valley ma, racconta Buciuni, ospita 1.200 nuove imprese e nel 2016 ha investito 890 milioni attraverso fondi privati e agenzie pubbliche. «C’è un’agenzia pubblica che si chiama Enterprise Ireland che offre corsi accelerati per diventare imprenditori e diversi bandi, di uno pensato per le donne: i finanziamenti pubblici in nuove imprese sono importanti, parliamo di 15-20 milioni». La politica industriale irlandese ha attirato in città i grandi big tax-free con un impatto occupazionale notevole. «Stanno creando un ecosistema imprenditoriale attraverso una serie di iniziative a favore dell'imprenditorialità locale» spiega il professore. Parliamo di Google, FB, Linkedin, AirB&B, Amazon.
Difficile che questi sbarchino con sedi in Veneto ma Buciuni dice: «Perché un ruolo affine non lo creano i nostri big come Benetton, Luxottica o De’Longhi?».
I colossi hi-tech a Dublino sono 250 per 10 mila occupati: «Persone che vivono a Dublino e possono uscire da Google e creare spin off; fanno circolare idee, coinvolgono le università e portano gli studenti in azienda». Non lo dice solo Buciuni.
L’Economist ha rilevato il fondamentale ruolo delle istituzioni e dei big nel favorire la nascita e la crescita di distretti e ecosistemi. Il laissez faire non funziona ma «neanche le idee calate dall’alto come il caso delle nanotecnologie o dei FabLab» ricorda il docente: “Il successo di un ecosistema imprenditoriale sta nella sua eterogeneità. Qui c’è la consapevolezza di fare qualcosa di grande e c’è il ruolo del pubblico. In Veneto questi elementi non li vedo: i big locali non mi sembrano coinvolti nelle decisioni strategiche e iniziative regionali. Le imprese venete devono ripensare al proprio ruolo: si potrebbe partire dal turismo, pensando a nuove offerte per valorizzare e sfruttare le colline del prosecco. Ma perché non creare un fondo di investimento dove anche un privato possa metterci dei soldi?».
di Eleonora Vallin