Dati allarmanti considerando che nella nostra città nell’ultimo anno si è registrato un +55% di donne sfruttate rispetto all’anno scorso. Numeri drammatici che raccontano storie altrettanto tristi. Come quella di Faith (nome di fantasia), che appena maggiorenne è partita dalla Nigeria ed è arrivata a Padova con la promessa di un futuro migliore. Con la complicità della sua famiglia d’origine ha preso parte al rito a cui vengono sottoposte tutte le ragazze che intraprendono questa strada, anche minorenni. Davanti a uno sciamano ha bevuto un intruglio e siglato un patto, deve saldare il debito il prima possibile: pena ritorsioni gravi, fino alla morte, nei confronti dei suoi familiari. Il debito di cui si parla è quello verso chi la porta in Italia, la fa lavorare, sebbene come prostituta, e le fa guadagnare qualche soldo. Il debito è quasi sempre spropositato e si aggira sui 20-30 mila euro. E finché non è saldato Faith e le altre non possono certo stare serene. «Raggiungiamo queste ragazze per strada, le convinciamo a entrare nel nostro programma di protezione, cerchiamo di carpire la loro fiducia e far capire loro che una via d’uscita c’è» spiega Gaia Borgato, coordinatrice area contatto Equality/Mimosa. «Purtroppo sono ancora molto pochi i casi in cui riusciamo nel nostro intento. La paura che i protettori facciano del male ai loro familiari è tale che non vogliono rischiare». Qualcuna ha dovuto pagare con la morte dei propri genitori l’aver voluto uscire dal giro: «Purtroppo è successo anche questo» conferma Borgato. Molte nigeriane poi molte riescono a entrare in Italia come richiedenti asilo, usufruendo della protezione che lo status comporta. “Vivono in appartamenti dedicati ai profughi ma lavorano come prostitute e si interfacciano con una madama che le istruisce e le coordina”.
Storie diverse per le ragazze dell’Est: «È molto più difficile attirarle e convincerle a cambiare vita perché il più delle volte sono legate al loro protettore oltre che da un ricatto psicologico anche da un rapporto sentimentale» denuncia la coordinatrice.
Alice Ferretti
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