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Il 75% delle badanti fa causa al titolare

Allarme Cgil che ogni anno cura 300 vertenze avviate nei confronti dei datori di lavoro per orari e assunzioni a nero

di Riccardo Sandre
2 minuti di lettura

«Tre badanti su quattro fanno causa al proprio datore di lavoro, anche a distanza di alcuni anni».

Lo dicono i dati diffusi ieri da Cecilia de Pantz, segretario della Filcams Cgil di Padova. Che spiega: «Il mondo dell’assistenza agli anziani è viziato qui, più che altrove, da molte zone grigie: i casi di sfruttamento vero e proprio non si contano e la reazione spesso è quella della causa diretta contro chi per superficialità o sperando di risparmiare qualcosa sceglie di pagare a nero le donne sempre più spesso straniere che seguono i familiari non autosufficienti».

È questo il dato più significativo di un sistema, quello del welfare privato agli anziani, forte di un esercito di circa 13.000 lavoratrici, per la stragrande maggioranza donne e straniere. «Ogni anno sono circa un migliaio le badanti che chiedono aiuto al nostro sportello - spiega De Pantz -. Sono donne esauste che lavorano ben oltre le 54 ore settimanali previste dal Contratto Nazionale. Persone che si trovano a contatto costante, spesso 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con anziani non autosufficienti ed in condizioni difficilissime. Donne che si siedono di fronte a noi e che per prima cosa piangono. Donne che spesso sono in preda a vere e proprie crisi nervose compresse tra una vita da recluse e il terrore di trovarsi in mezzo ad una strada non appena l’assistito dovesse morire».

E sul migliaio circa di richieste d’aiuto che pervengono allo sportello badanti della Cgil di Padova sono circa 300 i casi di conciliazione o di vertenza vera e propria che il sindacato si trova a dovere affrontare, 100 dei quali ogni anno arrivano alla scrivania del giudice del Lavoro. «Si tratta per lo più di casi eclatanti che vanno ben oltre il rapporto di lavoro magari irregolare fra una famiglia disperata ed una donna in cerca di un'occupazione per mantenere famiglie spesso in situazione di povertà nei paesi di origine - continua il segretario della Filcams di Padova -. Il caso della cooperativa A.S.A.P., ora sciolta e ricostituita sotto altro nome, è emblematico. La cooperativa aveva assunto una lavoratrice in contratto di co.co.co. evitando di pagare contributi e stipendio secondo il contratto nazionale di categoria. Il 9 febbraio scorso, la coop è stata condannata a pagare in solido 9 mensilità di stipendio pieno, oltre 7 mila euro di contributi inevasi e 5 mila euro di spese processuali».

E se in assenza di un welfare pubblico capace di tutelare i proprio soggetti deboli le famiglie cercano di arrangiarsi come possono, emerge con sempre maggiore evidenza un sistema di cooperative, spesso evanescenti, che fanno dello sfruttamento delle operatrici il proprio modello di business.

«Anche quando una famiglia spera di trovare in una cooperativa il soggetto di appoggio che garantista un rapporto di lavoro legale e rispettoso, le sorprese non mancano - continua De Pantz -. Le lavoratrici vengono sfruttate, sottopagate o messe in condizione di subire veri e propri ricatti. E quando alla fine, dalla disperazione, emerge la denuncia spesso sono proprio le stesse cooperative a presentarsi alle famiglie, chiedono agli assistiti somme di denaro per far fronte alle cause che le badanti intentano. Un modello truffaldino che non va accettato in nessun caso».

Per far fronte ai tanti rischi che si nascondono dietro al sistema privato di assistenza domiciliare agli anziani, il Caaf Cgil di Padova ha istituito un apposito sportello fiscale per assistere anziani e famiglie. «Ogni anno i nostri Caaf gestiscono 9.000 richieste di informazioni o messa in regola - conclude De Pantz -. Una scelta che oltre ad essere più economica di una successiva causa, tutela sia gli assistiti che le lavoratrici».

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