Trovato l'armadio degli orrori della Grande Guerra a Padova
Uno spaccato inedito della Prima Guerra Mondiale: la fotografia di un’ospedale-azienda come era quello "Ai Colli" e della situazione dei pazienti, quasi interamente soldati arrivati dal fronte
di Elisa Fais
PADOVA. Uno spaccato inedito della Prima Guerra Mondiale: la fotografia di un’ospedale-azienda come era quello Ai Colli e della situazione dei pazienti, quasi interamente soldati arrivati dal fronte. Una documentazione eccezionale e assolutamente inedita venuta alla luce nei mesi scorsi durante i lavori di ristrutturazione in corso nella struttura dei Colli. I registri erano chiusi in un armadio a muro, dimenticati in fondo a un buio scaffale da cento lunghi anni. Il complesso a Brusegana, inaugurato nel 1907, in passato era uno dei più importanti ospedali psichiatrici d’Italia. Nei volumi recuperati sono annotate le informazioni dei pazienti: l’identità, il luogo di provenienza, l’occupazione, la diagnosi e le date di ricovero e dimissione. Sono venuti alla luce fascicoli sul personale, regolamenti del manicomio, lettere di familiari dei ricoverati e i menù della mensa.
«Nel corso del riordino degli spazi, in vista di una ristrutturazione, sono stata chiamata perché un armadio era chiuso e non si trovava la chiave per aprirlo», racconta Maria Cristina Zanardi, archivista dell’Ulss 16, «Così ho scoperto l’esistenza dei registri, materiale di grande valore storico. Ho subito provveduto a custodirli al sicuro presso l’Aula magna dell’Ospedale ai Colli».
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Dal 1914 al 1918 l’Europa è travolta dalla prima guerra mondiale, l’Italia interviene nel maggio del 1915. Migliaia di giovani uomini sono chiamati al fronte, strappati dalla propria casa, dal lavoro e dalla quotidianità. Spesso, la follia diventa la reazione alla trincea e alla convivenza con la morte. Molti impazziscono, colpiti dallo shock da combattimento. In quel periodo ai Colli viene creato un apposito reparto considerato una sezione dell’Ospedale Militare. Già nel 1915 vengono ricoverati 156 militari, nel 1916 diventano 833, nel 1917 il numero diminuisce ma rimane sempre alto infatti i soldati sono 767 e, infine, nel 1918 le presenze dei militari calano notevolmente fino ad arrivare a 49.
Dai registri emerge che alla maggior parte dei militari non viene diagnosticata alcuna malattia mentale. Inoltre si osserva un’alta presenza di diagnosi di psicosi maniaco-depressiva, di frenastenia (deficit dello sviluppo psichico) e di demenza precoce. Meno frequenti le diagnosi di psicosi alcolica, isterica, nevrastenica e epilettica. Si tratta di termini ormai in disuso che la psichiatria moderna, ad oggi, ha superato. «Si ipotizza che alcuni simulassero, per fare in modo di essere ricoverati e così non partire oppure di abbreviare il periodo al fronte», spiega la psicologa criminologa Laura Baccaro, coautrice del libro “Dai non luoghi all’esserci-con: storie e testimonianze del Manicomio di Padova” assieme a Vittorio Santi, «Il periodo di permanenza variava in base alla patologia, si andava da pochi giorni ad anni. Va detto che nel 1916 venne approvato un decreto in base al quale il periodo massimo di osservazione di 30 giorni previsto dalla legge sui manicomi, veniva protratto sino a tre mesi. La proroga valeva solo per militari e solo per la durata della guerra. Una misura che doveva servire a evitare l’internamento definitivo dei soldati».
Spesso i militari traumatizzati dalla violenza della guerra si chiudevano nel mutismo e qualcuno rimaneva paralizzato. C’era chi tremava e aveva le convulsioni, chi era depresso, chi era tormentato dalle allucinazioni e chi balbettava. «Il più delle volte, negli studi del tempo, veniva dichiarato che questi si ammalavano al fronte perché affetti da predisposizione costituzionale o tare ereditarie. Perciò la guerra non aveva rappresentato la causa, ma solamente fornito l’occasione di manifestarsi a una malattia già latente nell’individuo», aggiunge Baccaro. «All’epoca gli studi di psichiatria e psicologia non correlavano le nevrosi di guerra e i disturbi post-traumatici da stress al trauma della guerra».
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