Annunciata la lista della “classifica cadetta” dei World’s 50 Best Restaurants, cioè i locali che si piazzano dalla posizione 51 alla 100 in attesa di un salto di categoria: tra nuovi ingressi, ritorni, conferme e scivoloni, fotografa una situazione della gastronomia internazionale molto dinamica, in cui Sud America, Medio Oriente, Asia e Sud Africa scalpitano per avanzare e farsi strada, magari a discapito delle insegne del Vecchio Continente. Non a caso William Drew, Direttore dei contenuti per The World's 50 Best Restaurants si dice felice “di vedere tanti ristoranti di così tante nuove località entrare quest’anno per la prima volta in classifica”.
Non sbaglia nel sottolineare quanto la classifica sia sempre più rappresentativa e si sia spostata dell’eurocentrismo dei primi anni a una visione davvero sempre più globale, in cui le tradizioni di ogni angolo del pianeta vengono tradotte in alta cucina contemporanea per mano di chef giovani e giovanissimi, innovativi, coraggiosi, orgogliosi delle proprie radici.
Se da tutto il mondo si continua ad andare a studiare le tecniche in Francia, Italia, Spagna, poi la tecnica viene riempita di nuovi contenuti, per affermare che non bisogna servire per forza foie gras e coquilles Saint Jacques per potersi dire un “grande ristorante”.
Ecco allora che la 21esima edizione della premiazione (che coinvolge i ristoranti di tutti i continenti ed è il risultato dei voti di 1.080 esperti del mondo della gastronomia, da chef e giornalisti di fama internazionale a gastronomi) vede 12 new entry da 11 diverse città, da Quito e Panama City, da Istanbul a Parigi. In tutto ristoranti di 22 territori in cinque continenti, di cui 15 dall'Asia, 21 dall'Europa, sei dal Nord America, cinque dal Sud America. “Solo” tre dal Medio Oriente e Sud Africa non va letto come sminuente: è caso mai il segno di un ampliarsi dell’orizzonte dei gourmet in viaggio. E testimonia l’importanza del lavoro di chi accende i riflettori su aree prima un po’ trascurate dagli appassionati globetrotter.

Dopo il lancio della classifica Middle East & North Africa's 50 Best Restaurants nel 2022, questa regione ha continuato a crescere sul piano dei riconoscimenti gastronomici con un ristorante negli Emirati Arabi Uniti che si classifica tra le posizioni 51-100: l’Ossiano di Dubai (anch'esso una novità in classifica al No.87). Mentre in Sudafrica, gli storici Fyn e La Colombe di Città del Capo occupano rispettivamente il No.75 e il No.94 della classifica.
La new entry più alta nella classifica 51-100 è Mérito, Lima, al No.59, a conferma dell’interesse che il Perù continua ad attirare, insieme al Brasile, altro paese emergente dal punto di vista dell’alta cucina – che piazza Lasai (No.58) e Oteque (No.76) entrambi di Rio de Janeiro – e tutto il Sua America: tra le new entry due si trovano a Quito e Panama City, città che compaiono per la prima volta in classifica: il Nuema, a Quito, si posiziona al No.79, il Maito, a Panama City, al No.100.
L’alta cucina nordamericana continua a far parlare di sé, ma con un po’ di stanchezza se lo Chef's Table a Brooklyn Fare, New York City, si piazza al No.61 e il Cosme al No.73 mentre erano in passato nella classifica principale. Il SingleThread di Healdsburg si colloca al No.68, mentre il Saison di San Francisco rientra in classifica 51-100 al No.98.
Con 21 ristoranti presenti in classifica, l'Europa guadagna quattro nuovi ingressi: il ristorante Enrico Bartolini a Milano (No.85); il Kei a Parigi (No.93); il ristorante Ricard Camarena Restaurant, nella città ospite di Valencia (No.96). e si segnala un importante new entry cioè il Ceto, l'ultima apertura dello chef Mauro Colagreco a Roquebrune-Cap-Martin (No.95), indirizzo più “easy” dello chef già migliore al mondo nel 2019 e ora tra i Best of the Best.
Anche la Turchia avanza con Istanbul che vede due locali, il Neolokal (re-entry) No.63 e la new entry Turk Fatih Tutak (No.66). Non benissimo per Parigi: l’Arpège (No.62), Le Clarence (No.67) e Alléno Paris al Pavillon Ledoyen (No.78) erano abituati nelle passate adizioni a figurare tra i primi 50. Come pure l’Azurmendi nei Paesi Baschi e il Core della chef Clare Smyth (No.71), che almeno può accontentarsi d’esser rientrato, pur sapendo che potrebbe meritare ben altre vette.
Forse la cucina europea è troppo classica per una clientela internazionale ormai improntata all’avanguardia o molto più probabilmente anche la critica è sempre più internazionale e quindi, per cultura e formazione, pronta ad apprezzare anche sapori e atmosfere diverse da quelle a cui siamo abituati, per portarci fuori dalle nostre certezze.