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Clima, Rich Lesser (Boston Consulting): "E' nato il patto tra governi e imprese. I consumatori? Solo un euro in più"

Rich Lesser, ad di Boston Consulting Group
Rich Lesser, ad di Boston Consulting Group 
"Oggi per la comunità delle imprese esistono tre priorità: uscire dall’emergenza Covid, preparare la ripresa economica per il dopo pandemia e agire rapidamente per limitare gli effetti del riscaldamento globale. Finora si è stati troppo lenti"
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“Il 2021 è un anno estremamente importante per la lotta al riscaldamento globale. E io vedo molti segnali positivi. Sia da parte dei governi che delle aziende private. Anzi, penso che i vertici dei prossimi mesi, a cominciare da quello voluto oggi dal presidente americano Biden in occasione della Giornata mondiale della Terra, avranno avuto successo se, oltre a ridurre le emissioni di CO2, segneranno una nuova collaborazione tra istituzioni pubbliche e imprese”. Rich Lesser è amministratore delegato di Boston Consulting Group, colosso tra le società di consulenza che lavora per governi e aziende in tutto il mondo. E’ anche consigliere capo dell'Alliance of Ceo Climate Leaders del World Economic Forum. La sua BCG è knowledge partner di Cop26, la Conferenza Onu sul clima che si terrà a inizio novembre a Glasgow. E lui è tra gli oltre 300 top manager americani che hanno scritto al nuovo inquilino della Casa Bianca chiedendo misure più rigorose per l’emergenza climatica.

Signor Lesser, il vertice voluto da Biden per la Giornata Mondiale della Terra produrrà risultati concreti?

“Al momento non abbiamo idea di cosa potrebbero annunciare i leader mondiali che partecipano. Potrebbe anche essere un summit puramente simbolico, ma a volte i simboli contano e fanno la differenza: questo vertice ci dice, per esempio, che gli Stati Uniti sono tornati e sono impegnati sul clima. Sappiamo che hanno lavorato duramente per preparare l’incontro, ottenendo pochi giorni fa la collaborazione della Cina. Certo, alla fine qualcuno potrebbe dire: non è stato fatto abbastanza. Ma è nella natura delle cose, c’è così tanto da fare per risolvere il problema…”.

La novità sembra essere il ruolo giocato dalle aziende. In passato erano i governi a fare leggi per limitare l’inquinamento delle industrie. Ora, a giudicare dalla lettera che avete appena inviato a Biden, è il mondo del business a chiedere di tagliare drasticamente le emissioni di CO2. Cosa è cambiato?

“Quello che vedo dal mio punto di osservazione è che anche gli amministratori delegati delle grandi aziende stanno mettendo il clima nelle loro agende. Lo dimostra la lettera dei grandi manager americani al presidente. Ma lo si percepisce anche nelle conversazioni private: le discussioni sul clima sono assai più frequenti che in passato ed è diffusa la convinzione che si debbano avere ambizioni maggiori sul taglio delle emissioni. Oggi per la comunità delle imprese esistono tre priorità: uscire dall’emergenza Covid, preparare la ripresa economica per il dopo pandemia e agire rapidamente per limitare gli effetti del riscaldamento globale. Finora si è stati troppo lenti. Ora abbiamo bisogno che i governi intervengano e che lo facciano insieme alle aziende. Nelle conversazioni con i manager colgo molta preoccupazione per la situazione attuale, ma percepisco anche l’opportunità che questo cambiamento può rappresentare. Si comincia a guardare questa vicenda del clima da una prospettiva diversa rispetto al passato”.

Quali sarebbero le opportunità da cogliere?

“Faccio un esempio. Abbiamo appena pubblicato uno studio sulla diffusione delle auto elettriche: la quota di mercato è cresciuta dall'8% nel 2019 al 12% nel 2020, e ha mostrato la stessa tendenza all'inizio del 2021. Una cosa che ha sorpreso anche noi: entro il 2026 i veicoli elettrificati rappresenteranno più della metà dei veicoli leggeri venduti a livello globale. Nella nostra relazione precedete immaginavano che sarebbe successo nel 2030. Un altro esempio riguarda le supply chain, per catene di produzione. Perché un prodotto sia a emissioni zero non basta agire sull’azienda che lo realizza, ma anche su tutti i suoi fornitori. Ebbene, in uno studio condotto per il World Economic Forum, abbiamo dimostrato che la decarbonizzazione ha un costo ma è fattibile se si condivide tale costo con i consumatori: l’impatto sui prezzi sarebbe relativamente basso, fra l’1 e il 4%, e non tale da danneggiare la competitività dell’impresa sul mercato. Una camicia a zero emissione costerebbe un euro in più e un’automobile da 30 mila euro vedrebbe salire il suo prezzo di 500 euro. Non che siano aumenti ininfluenti per i consumatori, ma comunque gestibili”.

E il mondo del business come valuta le ipotesi, al vaglio per esempio in Europa, di tassare alle frontiere quei prodotti realizzati emettendo più CO2 del consentito?

“Su questo punto c’è molto nervosismo da parte dei grandi gruppi industriali. Primo, perché non esiste ancora una tecnologia che possa certificare le emissioni delle singole aziende. Secondo, perché qualsiasi ulteriore barriera venga innalzata tra i Paesi è un ostacolo in più per chi fa business. Insomma, si tratterebbe di un sistema di dazi che impedirebbe una vera concorrenza. Il nostro punto di vista è che debbano essere gli Stati a trovare un accordo: se tutti i Paesi adottassero gli stessi standard di emissioni per le loro aziende non ci sarebbe bisogno di imporre una tassa alle frontiere”.

In Europa si discute anche se considerare il gas naturale un investimento green o invece un combustibile fossile da archiviare subito insieme al carbone e al petrolio. Lei che ne pensa?

“Ci aspetta una transizione energetica di lungo termine. Sappiamo di dover abbandonare tutti i combustibili fossili, ma il gas può essere una soluzione intermedia. E anche quando il solare e l’eolico rappresenteranno la maggior parte della produzione di elettricità, il gas potrebbe tornarci utile per soddisfare i picchi di fabbisogno energetico che le rinnovabili non riusciranno a soddisfare. Oppure quando le condizioni meteo causeranno un calo della produzione da solare ed eolico”.

Voi siete partner di Cop26, ma c’è chi, da Greta Thunberg a Yvo de Boer, ex funzionario Onu per il clima, chiede di rinviarla piuttosto che rischiare un nuovo fallimento. Il Covid, sostengono, impedirà a molte delle parti di essere presenti fisicamente a Glasgow e in quel tipo di vertice sono fondamentali gli incontri bilaterali.

“Cop26 è stata già rinviata l’anno scorso per il Covid. Ma il clima non aspetta la pandemia. Vanno tagliate le emissioni in modo ambizioso e va colta l’opportunità di far incontrare i leader di tutto il mondo. Dobbiamo fare subito del nostro meglio, anche se il risultato non sarà perfetto. Forse sulle Cop si ripongono troppe aspettative, ci si aspetta che risolvano il problema. La mia personale speranza è che oltre a impegnarsi su obiettivi ambiziosi per i tagli alle emissioni, la Cop26 sia l’occasione per comprendere quanto sia importante la collaborazione tra governi e business. C’è molta energia nel mondo delle imprese e se i governi capissero come sfruttarla per affrontare l’emergenza climatica sarebbe un grande progresso. Come ci ha insegnato la vicenda dei vaccini anti-Covid, la collaborazione tra governi e settore privato può portare a trovare soluzioni anche in tempi molto rapidi. Certo, la pandemia è iniziata 15 mesi fa mentre il cambiamento climatico si estende su un periodo di decenni. Ma oltre alle tante sfide, abbiamo davanti anche grandi opportunità per una transizione economica”.