"Questa non è soltanto la prima guerra digitale, la prima in cui la comunicazione conta quanto quel che accade sul campo di battaglia, ma anche l'ultima guerra dell'era dei combustibili fossili. È un sovvertimento dell'ordine costituito che, nell'orrore generale per quello che sta succedendo, dobbiamo considerare con attenzione". Jeremy Rifkin, peculiare e poliedrica figura di economista, attivista e perfino un po' filosofo, ormai punto di riferimento per la transizione ecologica mondiale, sarà uno degli ospiti del Festival di Green&Blue. In quest'intervista fa il punto sulla "Terza rivoluzione industriale", tema che lanciò per la prima volta qualche anno fa come voce narrante di uno dei documentari Life collection girati da David Attenborough per la mitica Bbc Natural History Unit.
Professore, non c'è il pericolo che, proprio perché è in corso una guerra così sentita in tutto il mondo, l'attenzione e soprattutto le risorse economiche siano trasferite dalle necessità della transizione ecologica a quelle belliche?
"Se accadesse sarebbe un grave errore. Ma ritengo che la coscienza della sfida contro i cambiamenti climatici è lì, intatta. Proprio gli avvenimenti di questi tragici giorni ce lo ricordano. Il mondo ha combattuto troppe volte per le risorse minerarie di energia, dalla seconda guerra mondiale che aveva all'origine anche la disputa fra Francia e Germania sulle ricchezze del carbone, fino alle tante guerre del Medio Oriente. Anche ora l'energia è un elemento centrale: la guerra andrà in una direzione o nell'altra se l'Europa varerà un embargo su gas e petrolio russi. Direi che il punto fermo è che le risorse fossili non devono più guidare i comportamenti dell'uomo".
Un embargo sarebbe più facile se non si fossero accumulati ritardi nella transizione?
"Sì, e questo non mi stupisce tanto per l'America, dove la lobby petrolifera resta forte, quanto in Europa, dove esiste una profonda consapevolezza ambientale. Il Green New Deal varato da Bruxelles, alla cui preparazione ho avuto l'onore di collaborare su invito della Commissione, è un progetto fantastico, e il NextGen EU è lì apposta per finanziarlo. I Paesi dell'Unione devono stare attenti a non perdere l'occasione, che è irripetibile".
È un memento rivolto soprattutto all'Italia, la cui burocrazia brilla in Europa per inefficienza?
"Diciamo che avete avuto dalla commissione una responsabilità in più: con 200 miliardi da spendere su 750 totali nell'Ue, la gran parte dei quali da destinare alla transizione digitale ed ecologica, avete il compito di guidare l'intero continente, o almeno la parte eridionale, verso un mondo più vivibile, sostenibile, resiliente. Per fare tutto questo, spero che i governanti si ricordino che gli investimenti vanno fatti entro il 2024".
I due concetti, digitale ed ecologico, sono per lei strettamente connessi, non è vero?
"Certamente. Sulla loro interazione si basa tutta la terza rivoluzione industriale, decisiva per l'umanità: dopo quella del vapore dell'800, quella del petrolio all'inizio del '900, questa che è a portata di mano sarà ancora più innovativa e migliorativa delle condizioni di vita, tutta basata sulle tecnologie di rete: per la comunicazione, per lo scambio di energia, per far andare le fabbriche, per favorire la circolazione delle auto elettriche".
È sicuro che tutto questo sia "a portata di mano"?
"Se c'è la volontà politica, è questione di pochi anni. Un watt di energia elettrica da fonte solare costava 78 dollari negli anni '70, ora costa 40 centesimi, ancora meno se a comprare grossi quantitativi sono le stesse utilities che non trovano più conveniente investire in risorse fossili. Non c'è più nessun motivo per puntare sugli idrocarburi: non a caso i fondi pensione, le società assicuratrici, le banche d'investimento, cercano solo titoli 'verdi'".
Tornando all'America, è vero che Biden ha rinviato il suo Green New Deal perché doveva dare priorità all'invio di armi all'Ucraina?
"Perché si stupisce? Non le ho appena detto che gli Stati Uniti sono il Paese al mondo in cui la lobby petrolifera, e altre lobby industriali, sono più forti?".
"Perché si stupisce? Non le ho appena detto che gli Stati Uniti sono il Paese al mondo in cui la lobby petrolifera, e altre lobby industriali, sono più forti?".