Per far capire ai cittadini l'importanza della crisi climatica serve un "cambio di narrativa", anche nei media. Le tematiche legate al riscaldamento globale dovrebbero essere "sempre più al centro del dibattito e dell'informazione", non solo quando "un'alluvione fa notizia per morti o distruzione". E il racconto dovrebbe basarsi maggiormente sulla scienza ed essere "più empatico". A sostenerlo è Valeria Barbi, politologa e naturalista, nonché una delle ambasciatrici del progetto Euclipa, nato da un'iniziativa della Commissione Ue con l'obiettivo di sensibilizzare stampa e cittadini sul cambiamento climatico. Nel cammino verso la Cop26 di Glasgow, Barbi e una settantina di colleghi lavorano per far sì che la crisi climatica sia un tema ben compreso dalla popolazione.
Che cos'è il Patto per il clima?
"È una iniziativa lanciata dalla Commissione europea nel 2020 che rientra nel Green Deal: l'obiettivo è coinvolgere la società civile nei comportamenti e nelle politiche per contrastare la crisi climatica. In questo contesto nascono anche gli ambasciatori del Patto per il clima e, in Italia, il progetto Euclipa, che di fatto si occupa di coordinare e mettere a sistema le competenze di questi ambasciatori attraverso diverse iniziative, come per esempio la lettera-appello indirizzata ai media nazionali".
Un appello per sottolineare l'importanza di una corretta informazione sulle tematiche climatiche?
"Esatto. L'obiettivo è smuovere il mondo della comunicazione e dell'informazione, partendo dal presupposto che i media oggi hanno bisogno di rispondere all'imperativo morale di ascoltare la scienza e parlare con rigore e correttezza di cosa sta accadendo. Siamo davanti a una sfida epocale e in questo la stampa ha il dovere di fornire i giusti elementi: per far capire alle persone che è necessario informarsi e attuare comportamenti compatibili con quel che sta succedendo, ma anche perché così il cittadino saprà cosa chiedere alla politica. C'è bisogno di un'informazione migliore e completa sulla crisi climatica".

Come deve essere la narrativa legata al riscaldamento globale?
"Prima di tutto corretta e non catastrofista a ogni costo. Se si racconta in modo sbagliato cosa sta accadendo si crea distacco nelle persone. Spesso parlando di disastri in modo sensazionalistico si crea il senso di impotenza nelle persone. Bisogna sistemare la narrativa, trovare una formula che informi e crei consapevolezza, senza spaventare. Dall'altra parte usare solo dati, fini a se stessi, non ha impatto emotivo: vanno spiegati, bisogna trovare il modo di coinvolgere i cittadini. La crisi climatica è qui e ora e c'è bisogno che tutti siano ben informati: questo anche per allontanare fake news e negazionisti".
Oggi lei crede che i media non se ne occupino abbastanza?
"Finché non succede qualcosa o non c'è un titolo da prima pagina, come un tornado o un'alluvione con feriti, se ne parla poco o in maniera generalista. Anche se pian piano le cose stanno cambiando".
Per esempio, è complesso raccontare lo scenario attuale: l'esigenza di decarbonizzare da una parte e la crisi dell'energia dall'altra.
"I finanziamenti fossili - lo ha fatto capire chiaramente anche l'Agenzia Internazionale Energia - non devono più esistere. La transizione ecologica ed energetica ha un costo importante, questo perché dobbiamo mantenere produzione e consumi così come sono. Forse dovremmo accettare che questo trend non va più bene. Non possiamo più continuare al livello a cui siamo arrivati: nel 1972 si parlava già dei limiti dello sviluppo, del fatto che il mondo non sia infinito dal punto di vista delle risorse. Serve riequilibrare. Il cambiamento climatico è oggi uno dei principali ostacoli per l'abbattimento della fame, nel 2030 si stimano 100milioni di poveri in più tra siccità e aumento del prezzo del cibo. Di questo passo, gli impatti saranno sempre più devastanti".
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Una delle risorse che sta diminuendo è l'acqua.
"Il problema dell'acqua è enorme, con impatti trasversali e a cascata. Viviamo in un Pianeta fatto per 97,5% di acqua salata e 2,5% di acqua dolce. Abbiamo a disposizione pochissima acqua: se pensiamo a come il cambiamento climatico impatta sulle risorse idriche è facile capire come in futuro il rischio di conflitti legati all'acqua saranno altissimi".
Un problema che vale anche per l'Italia?
"Come ricorda il report del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, gli impatti della crisi climatica possono costare all'Italia fino all'8% del Pil pro capite. Immaginiamoci quanto questo può acuire per esempio le differenze fra Nord e Sud. E sì, anche da noi c'è un problema di acqua: siccità, desertificazione e surriscaldamento con tassi sempre più elevati. Inoltre, essendo circondati dal Mediterraneo, c'è un serio problema che riguarda l'innalzamento dei mari e la perdita di biodiversità. Abbiamo iniziato ad agire in sua difesa molto tardi, purtroppo".
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È fiduciosa per la Cop26?
"Voglio provare a essere estremamente ottimista. Non ci sono più 'se', bisogna agire. Stiamo andando dritti verso un aumento della temperatura di 3 gradi quindi o si arriva ad accordi chiari e definizione di obiettivi per limitarne l'innalzamento o sono guai seri. Un fallimento non è consentito. La buona notizia è che arriviamo a questa Cop con convinzione, dopo un anno e mezzo di pandemia, dopo lo Youth4Climate a Milano, e la volontà di arrivare a una svolta c'è davvero. Ma una volta ottenuta serviranno meccanismi di verifica e trasparenza per monitorare e bisognerà arrivare a una quadra sulla questione dei finanziamenti. Fondamentale sarà poi agire sulla prossimità, a livello locale, con piani di adattamento a seconda dei vari Paesi".