Persino per uno come lui, che in settant'anni di esistenza ha visto cambiare ogni angolo del Pianeta in così poco tempo, l'umanità avrebbe ancora chance di invertire il declino della Terra. "Se solo riconoscesse l'importanza degli oceani" dice. Eppure, sostiene Paul Rose, esploratore d'altri tempi ed expedition leader del National Geographic, è convinto che la scienza possa ancora "incentivare al cambiamento" e aiutare le persone a "usare la mente, pensare e capire in che tipo di mondo vogliamo che vivano davvero i nostri figli".
Volto noto della Bbc, ex vicepresidente della Royal Geographical Society, divulgatore, addestratore dei marines americani, Rose è stato guida polare, subacqueo, alpinista: per dieci anni ha guidato la base del Rothera Research Station in Antartide e pochi al mondo possono avere una visione così nitida come la sua, basata sull'esperienza, di come oggi la Terra sia mutata purtroppo in peggio.

Recentemente, Rose è stato uno dei protagonisti dell'One Ocean Summit di Milano, il vertice della One Ocean Foundation, di cui è ambassador, fondazione nata per accelerare le soluzioni ai problemi degli oceani promuovendo un'economia blu sostenibile. Dall'alto di una vita dedicata ad esplorare e proteggere il Pianeta, a Rose Green&Blue ha chiesto un suo personale punto di vista sul futuro della Terra.
Quanto è preoccupato per il futuro dei poli e delle riserve idriche del nostro Pianeta?
"Posso dire che ho lavorato in Antartide dal 1990 ad oggi, nell'Artico dal 1999 ed ho visto cambiamenti incredibili. Nell'Artico prima non avevamo mai visto per esempio la plastica. La plastica si trovava solo in isole remote, ma ora che così tanto ghiaccio marino si è deteriorato e che così tanta spazzatura sta andando in mare, il bordo della banchisa non trattiene più la spazzatura e tutto arriva su queste spiagge artiche. Quando lavoravo sui ghiacci della Groenlandia, mi ricordo di aver sciato sopra il suo paesaggio. Ho fatto tante spedizioni in quei luoghi, da est a ovest, ci vogliono 30 giorni ed è un viaggio unico, lungo e bellissimo. Normalmente andavamo verso maggio e aprile e naturalmente faceva freddo, e ci trovavamo a sciare sul ghiaccio marino, un bellissimo ghiaccio: ora ci sono letteralmente pozzanghere d'acqua. È preoccupante".
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Che effetto le fa sapere che è piovuto perfino sulla calotta glaciale in Groenlandia?
"La Groenlandia sta scomparendo davvero velocemente, non riusciamo nemmeno a capire con precisione quanta ne stia scomparendo. L'anno scorso ha perso circa 8 miliardi di tonnellate d'acqua in un solo giorno, tutto ciò che si scioglie e finisce in mare contribuisce alla crescita del livello del mare a livello globale. Tutta l'acqua che finisce nell'Artico ha delle ripercussioni sugli equilibri climatici e questo è uno scenario davvero disastroso; nonostante sia imprevedibile dobbiamo evitare che l'acqua finisca nella corrente del Golfo: sarebbe troppo catastrofico. L'Artico poi, più vicino a noi rispetto all'Antartide, è un indicatore chiave per comprendere cosa sta succedendo anche in altri luoghi, perfino città come Milano, per fare un esempio. I numeri ci dicono inoltre che dall'inizio del 1990 l'Antartide ha perso 3 trilioni di tonnellate di ghiaccio. Nonostante le regioni del polo stiano cambiando in modo così drammatico, il lato positivo è sapere che la scienza le sta osservando: si tratta di un elemento che può finalmente incentivare le persone al cambiamento".
Tra poco ci sarà la Cop26 a Glasgow. Crede che finalmente i politici troveranno un accordo efficace per rallentare la corsa della crisi climatica?
"Sono molto ottimista per la Cop26, abbiamo grandi aspettative e molte informazioni. Le persone sono più consapevoli e confidano in azioni politiche intelligenti e mirate. Un esempio di questa consapevolezza è Protecting our Planet Challenge, un grande progetto che ha raccolto 5 miliardi di dollari per aiutare a proteggere l'ambiente, per conservare il 30% del nostro Pianeta, oppure realtà come One Ocean Foundation, che in soli 3 anni ha visto un forte incremento della partecipazione pubblica e che sta riuscendo a sollecitare l'assunzione di responsabilità da parte delle aziende. Bisogna poi ricordare che anche il Covid-19 è stato causato da un rapporto malsano con la natura e che la storia ci insegna che vero vaccino per sconfiggerlo è proteggere ciò che abbiamo".
Quanto è importante oggi la divulgazione scientifica, per esempio per aiutare le nuove generazione a comprendere come sta cambiando il globo?
"Credo che la divulgazione sia molto importante: rende curiosi, suscita domande e aiuta a trovare la verità. Dovremmo tutti tenere alta questa curiosità, questa attitudine che spinge all'esplorazione. Si pensa che tutto sia facile: si parla di investimenti, si raccoglie denaro e si arriva ad avere un mondo non inquinato. Ma questo non è corretto, dobbiamo invece usare la nostra mente per pensare e capire in che tipo di mondo vogliamo che vivano i nostri figli."

Riusciremo a ristabilire la salute degli oceani? Gli oceani sono fondamentali per la vita sulla Terra, eppure non se ne parla mai abbastanza. Perché?
"L'oceano è così grande, e la maggior parte delle persone vive sulla terraferma, ecco perché non se ne parla tanto. L'oceano è erroneamente vissuto come 'al di là', fuori dal mondo e dalla mente. Con associazioni come One Ocean, stiamo cercando di scardinare questa visione. L'oceano potrebbe offrire un numero illimitato di risorse e sarebbe così, se la nostra popolazione non fosse cresciuta tanto velocemente. Dobbiamo percepire il valore fondamentale degli oceani per la nostra vita. Per aiutarli e ristabilire la salute degli oceani dobbiamo istituire sempre più aree marine protette. La vita all'interno dell'area protetta aumenta di oltre il 600% e la pesca è migliore con le aree marine protette. Inoltre, l'area protetta diventa più resiliente e permette la creazione di nuovi ecosistemi in un oceano che ha una straordinaria capacità di recupero."

Oggi lei riveste la posizione di ambassador. Che ruolo giocano privati e fondazioni nella lotta alla crisi climatica?
"Le fondazioni svolgono un ruolo cruciale, perché si possono muovere tra scienza, business e politica. Per esempio One Ocean Foundation conosce sia il lavoro delle imprese sia i meccanismi della politica e mette a sistema queste competenze per aiutare la politica e le imprese a prendere decisioni intelligenti. E questo è decisivo".