Quasi come prima e per certi versi anche peggio di prima. Nasce l'Osservatorio sugli Stili di Mobilità di Legambiente e la prima fotografia che scatta all'Italia attraverso la lente di Ipsos non promette bene. Sono state osservate quattro grandi città, da Milano a Roma, da Torino a Napoli, e in tutte l'uso delle vetture private sta tornando ai livelli pre-pandemia, mentre si sta assistendo ad un declino del trasporto pubblico. Con buona pace di tutti quei progetti per cambiare le metropoli e il territorio sfruttando il lavoro remoto e arrivare così a città meno centralizzate e dove i servizi sono al massimo a 15 minuti di distanza dalla propria abitazione.
A Milano, Torino, Napoli e Roma, dove ancora si lavora di più da casa rispetto al resto d'Italia, ci si sposta più frequentemente, anche tre o quattro volte al giorno. Continuiamo a usare spesso l'auto, ma ci muoviamo anche a piedi. Però autobus, tram, metropolitane e treni regionali sono al 70-80% della capienza. Il mezzo pubblico ha perso quote, penalizzato dalla paura dell'affollamento che è al primo posto fra le preoccupazioni dei cittadini. Viene subito prima quella della poca puntualità e frequenza delle corse, almeno per Napoli, Torino e Roma. A Milano invece, dove i mezzi sono decisamente più affidabili, dopo il minor affollamento si chiede una copertura maggiore di aree ora ai margini.
Zero auto, meno rifiuti, ciclabili energetiche e giardini spugna: viaggio nelle città sostenibili
Ma la quota di veicoli che si sono riversati nelle strade non è piccola. Andando per macroaree, la scuola occupa circa un milione di persone, mentre la sanità arriva a 700mila. Le funzioni centrali, dai ministeri all'Inps fino alle agenzie tributarie, hanno 280mila dipendenti e 700mila sono quelli degli enti locali. Dunque coloro che anche solo qualche giorno alla settimana potrebbero evitare di usare un mezzo nel pubblico sono circa un milione di persone alle quali si aggiunge il personale che svolge compiti di amministrazione sia nella sanità sia nella scuola.
"Milano è un'eccezione anche se si tiene conto solo delle città, luoghi dove c'è oggettivamente più scelta", prosegue Poggi. "Laddove ci sono politiche attive che indirizzano la nuova mobilità si è arrivati a cambiamenti positivi rispetto al passato. Le persone tendono a spostarsi usando schemi conservativi. La classica intermodalità prevede ad esempio l'uso dell'auto fino alla stazione o alla fermata della metro. Ma se si ampliano le ciclabili, si riduce lo spazio per le automobili e si aumenta la disponibilità di mezzi per coprire il chilometro finale, grazie a bici e monopattini, è possibile arrivare ad un sistema diverso e ben più sostenibile. Ma tutto passa necessariamente per un trasporto pubblico più efficiente e moderno, il tassello centrale che lega tutto".
E invece è accaduto il contrario ed è questo il motivo che ha spinto il ritorno all'auto privata in buona parte del Paese. Nel 2020 abbiamo comprato 900 bus su un parco totale di 50mila mezzi che ha un'età media di 12 anni. A questo ritmo per modernizzarlo serviranno decenni. Bisognerebbe invece investire nella mobilità del futuro altrimenti sarà impossibile avere una maggiore sostenibilità. Almeno è così che sostiene Legambiente.
Secondo i suoi calcoli dovremmo spendere almeno 500 milioni di euro ogni anno sino al 2030 per treni nuovi, circa 650 milioni metropolitane e 500 per i tram e avere 6-7mila nuovi autobus elettrici sempre all'anno, questi ultimi anche in leasing operativo, come si fa in altre città e paesi europei e del mondo. Altri 500 milioni andrebbero poi destinati alle città metropolitane e ai raggruppamenti di comuni per l'attuazione dei Piani Urbani Mobilità Sostenibile anche per la ciclo-pedonalità. Viene poi avanza la proposta di estendere le agevolazioni fiscali per aziende e dipendenti pubblici, oggi applicati per gli abbonamenti al trasporto pubblico ferroviario e locale, a tutte le forme di mobilità sostenibile come la sharing mobility e mezzi elettrici aziendali condivisi.
"Sempre per la sharing mobility bisognerebbe imporre un'aliquota Iva pari a quella del trasporto pubblico, ovvero 10% e non 22%", conclude Andrea Poggio. "Mentre dovremmo farla finita con i bonus per l'acquisto di qualsiasi veicolo a motore a combustione, per i quali sono stati stanziati quasi due miliardi dal 2019 per ottenere trascurabili miglioramento ambientali ed economici: abbiamo speso pro capite più della Germania, 31 euro invece di 27, per avere su strada un sesto delle auto elettriche a batteria: 180mila contro un milione. Dobbiamo cambiare passo, altrimenti scordiamoci l'idea di avere città più a misura d'uomo".