Questa estate il Polo Nord si è tinto di nero. Il fumo degli incendi che hanno messo in ginocchio la Siberia ha invaso l’Artico, arrivando fino in Groenlandia e in Canada. Un problema enorme per il circolo polare dove il cambiamento climatico è tre volte più veloce che nel resto del Pianeta e che potrebbe velocizzare ulteriormente lo scioglimento dei ghiacci.
Come mostra questa mappa di Steven Bernard del Financial Times, sulla base di dati Nasa raccolti ad agosto, i fumi degli incendi della Russia orientale hanno circondato l'Artico, spostandosi di oltre 3mila chilometri dalla Repubblica russa di Sakha fino al Polo Nord.
Le emissioni globali degli incendi hanno superato un nuovo record. Solo questa estate in Siberia sono andati in fumo quasi 1,5 milioni di ettari di foreste, soprattutto nella parte est del Paese, proprio nella Repubblica di Sakha, detta anche Yakutia, che si estende per gran parte proprio nel circolo polare Artico. Da cinque anni si assiste allo stesso copione: la siccità estiva rende rende taiga e torbiere una miccia perfetta per gli incendi, che divampano anche nelle zone più remote del Paese e raggiungibili solo in elicottero.

Spesso gli incendi boschivi sono considerati climaticamente neutri, perché gli alberi ricrescono nel tempo, riassorbendo la CO2 dall'aria. Ma con l’intensificazione del fenomeno questo non è più il caso: per colpa del riscaldamento globale le foreste bruciano a una velocità maggiore di quanto non riescano a riformarsi. "Sappiamo che il cambiamento climatico sta giocando un ruolo molto importante in zone come la Repubblica di Sakha, aumentando la frequenza, la dimensione e l'intensità degli incendi", ha affermato Thomas Smith, professore associato di geografia ambientale presso la London School of Economics, al Financial Times.
Inoltre gli incendi emettono anidride carbonica, metano, altri gas e particelle come il nero di carbonio. I pennacchi di fumo degli roghi più grandi, aiutati dal vento, possono estendersi per migliaia di chilometri, ecco perché hanno raggiunto il Polo Nord. Le particelle di nero di carbonio assorbono le radiazioni solari e quelle emesse dalla superficie terrestre e, quando rimangono nell’atmosfera, hanno un potenziale di riscaldamento globale molto alto. Una caratteristica che diventa pericolosa nell’Artico. Qui il nero di carbonio si deposita sulla superficie bianca ghiacciata, diminuendo la sua capacità di riflettere le radiazioni solari. Il ghiaccio quindi assorbe più calore, surriscaldandosi e sciogliendosi più velocemente del normale. Quando la neve e il ghiaccio si sciolgono, espongono la roccia o l'oceano sottostante e, visto che le superfici scure assorbono più calore, si crea un circolo vizioso di riscaldamento.

"Il nero di carbonio extra emesso dai crescenti incendi ad alta latitudine è fondamentalmente uno di quegli amplificatori che aumentano l'effetto di riscaldamento preesistente dall'elevata anidride carbonica", ha affermato Jason Box, professore di glaciologia al Geological Survey della Danimarca e della Groenlandia, che ha studiato a fondo il problema. "Il clima artico è pieno di amplificatori come questo: dall'aumento dell'umidità, dalla riduzione del manto nevoso riflettente, dall'aumento dell'apporto di calore nell'atmosfera da una superficie oceanica più esposta".