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Il greenwashing dei fondi "verdi": investono anche nel fossile

Il greenwashing dei fondi "verdi": investono anche nel fossile

Ben 72 su 130 fondi che si professano "fossil-free" analizzati da un think tank specializzato, con il colosso Blackrock in testa, in realtà investono  anche in aziende più che attive nel campo delle energie fossili 

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Ma siamo sicuri che un fondo d’investimento che si propone come “verde”, cioè in grado di investire sono in aziende in regola con gli accordi di Parigi, sia poi sempre così verde? Secondo InfluenceMap, un think-tank di Londra specializzato nelle tematiche della sostenibilità, a volte non è così.

Nel suo ultimo rapporto, citato dal Financial Times, il centro di ricerche inglese rivela che ben 72 dei 130 fondi analizzati – per un totale di 67 miliardi di capitale investito - che si professano tutti “climate-focused”, in realtà investono – poco per la verità – anche in aziende ben lontane dall’essere “fossil-free”. Gli investimenti “incriminati” complessivamente, per tutti i 130 fondi, raggiungono i 153 milioni, una percentuale come si vede minima. Ciò non ha risparmiato che finissero sotto accusa perfino i due maxi-money center che più di qualunque altro rassicurano gli investitori sulla corretta allocazione delle risorse: State Street e BlackRock.

Bene, entrambi sono stati “pizzicati” con in tasca azioni di Marathon Petroleum e Phillips 66, due delle compagnie energetiche più grandi del mondo e più legate alle fonti tradizionali.

"Abbiamo diverse esigenze e sensibilità da parte degli investitori", è stata la risposta di State Street al Financial Times. "Abbiamo fondi allineati con gli accordi di Parigi, e altri che perseguono i loro obiettivi climatici in altre maniere". La risposta di BlackRock è stata più articolata: "La ricerca di InfluenceMap non è andata a fondo e ha escluso molti dei nostri fondi, compresi i tanti allineati con gli accordi di Parigi. Noi abbiamo un grandissimo numero di clienti e un ampio numero di strategie per sostenere i loro piani d’investimento".
Anche l’Ubs, la principale banca d’investimento svizzera, è stata trovata con qualche titolo “sospetto”, e anch’essa è stata interpellata: "Lo studio – è stata la risposta – non coglie la significativa diminuzione delle emissioni che siamo riusciti a ottenere con le nostre politiche d’investimento".

Ma l’analisi di InfluenceMap è ancora più ampia, come riassunto nel report “Climate fund: are they Paris aligned?” datato agosto 2021, disponibile sul sito. L’esame è infatti esteso a tutti i prodotti finanziari targati ESG (Environment Social Governance), ovvero il marchio della sostenibilità nel senso più esteso: un complesso di 1.700 miliardi di dollari di patrimonio con migliaia di fondi. L’esame dell’istituto si è poi concentrato sui 723 fondi più specificamente (teoricamente) attinenti alla tematica del clima, con oltre 300 miliardi di investimenti, e ne ha colti “in fallo” ben 421. Infine, ha analizzato i 130 fondi di cui si parlava, “quelli – chiarisce il rapporto” per i quali è stato possibile sulla base delle informazioni disponibili verificare nel dettaglio gli investimenti”. I più trasparenti, insomma.

Spesso non è facile, scrive il FT, scoprire chi c’è “dietro” un investimento. Ci sono per esempio fondi “passivi”, specializzati cioè solo in alcuni indici che possono venire formulati usando azioni di Total, Chevron, ExxonMobil o Halliburton, la principale società americana di servizi per le compagnie petrolifere. Ancora più complicato è il calcolo del “footprint” ecologico di alcune grandi compagnie di estrazione mineraria come Rio Tinto e Bhp. E soprattutto non è facile, ammette il quotidiano della City, accontentare le esigenze di investitori che sono anche attenti, il che è comprensibile da parte loro, al rispetto di certi standard di redditività che i fondi cercano in qualche modo di garantire.