Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, un chilo di idrogeno prodotto da gas naturale costa in media due dollari, da fonti rinnovabili cinque. Il nodo principale per produrre idrogeno in grado di alimentare industrie, trasporti e abitazioni private è tutto qui. L’Italia, come altre nazioni europee, è impegnata a trovare il modo di rendere competitiva la produzione di idrogeno attraverso le energie rinnovabili. Ecco un quadro, sicuramente incompleto, di come si stanno muovendo sia le grandi aziende del settore energetico, sia le relativamente più piccole startup che hanno come obiettivo l’utilizzo green del H2.
Snam e il trasporto dell’idrogeno
The European House-Ambrosetti e Snam, in uno studio presentato al Forum di Cernobbio, hanno calcolato che se nel 2050 almeno il 23% del fabbisogno energetico nazionale fosse prodotto con idrogeno, l’industria del settore potrebbe generare valore fino a 1.500 miliardi di euro e creare tra i 320 e 540mila nuovi posti di lavoro, riducendo le emissioni di anidride carbonica di quasi un terzo (il 28%). Il prezzo dell’idrogeno prodotto da rinnovabili, che nel 2000 era 40 volte superiore a quello del petrolio, dovrà diventare competitivo in 5 anni e arrivare a soddisfare circa un quarto della domanda di energia italiana.
Snam gestisce una delle reti più estese di gasdotti in Europa, che dall’Italia, dove si snoda per 33.000 chilometri, arriva al Sud della Francia e in Europa centrale. Dove passa il gas naturale può essere spinto anche l’idrogeno, con il vantaggio di adattare infrastrutture già esistenti senza doverne costruire di nuove. Un progetto su cui la società a partecipazione pubblica ha messo investimenti di 1,4 miliardi di euro fino al 2023. Con i primi risultati: a Contursi Terme, in provincia di Salerno, l’idrogeno ha viaggiato al 5 e al 10% insieme al gas naturale per rifornire un pastificio e una ditta di imbottigliamento.
Snam sta anche verificando il funzionamento di una turbina ibrida, prodotta da Baker Hughes: è alimentata a idrogeno al 10% e sarà installata quest'anno nell’impianto di Istrana, a Treviso. “Immettere nelle nostre reti il 10% di idrogeno sul totale del gas trasportato annualmente, equivarrebbe a 7 miliardi di metri cubi di energia, che rappresentano il consumo di 3 milioni di famiglie, con una riduzione di emissioni di anidride carbonica di 5 milioni di tonnellate”, ha spiegato Dina Lanzi di Snam. “Circa il 70% dei nostri tubi sono compatibili con l’idrogeno e i risultati ottenuti finora lasciano ben sperare per il futuro” ha aggiunto. L’Italia potrebbe diventare un vero e proprio hub del Mediterraneo, uno snodo fra il Nord Africa, dove grazie all’energia solare si potrebbe produrre idrogeno a costi inferiori del 15% rispetto al resto del mondo, e il resto d’Europa. Il paese è nella situazione ideale per avere un ruolo chiave nella gestione del trasporto dell’idrogeno tramite gasdotti o sfruttando il trasporto marittimo e ferroviario.
Ma il problema principale resta comunque la produzione competitiva di idrogeno “green” e il suo utilizzo non solo in ambito industriale, ma anche in quello domestico. Più del 60% delle polveri sottili nell’aria provengono dagli impianti di riscaldamento delle abitazioni. Sul mercato esistono già caldaie alimentate con celle a combustibile, ma nel 2019 la Baxi SpA, un’azienda di Bassano del Grappa, ha lanciato una versione a idrogeno. Il progetto pilota è partito a Rozenburg, in Olanda. Qui la caldaia è stata installata con successo in un complesso residenziale, grazie alla collaborazione con un distributore locale di gas. Presto sarà avviato un secondo progetto dimostrativo nel Regno Unito: in due anni saranno installate altre 400 caldaie a idrogeno. L’obiettivo di Baxi è eliminare completamente le emissioni di C02 e di residui di combustione e creare prodotti a idrogeno con prestazioni pari a quelli a gas e con maggiore efficienza.
“Dal 2017 a oggi l’azienda è cresciuta nella direzione di un’energia verde”, ha detto Antonio Sandro, R&D director di Baxi. “I nostri progetti sono alimentati dai 3.600 pannelli fotovoltaici, che, producendo un picco di 1.000 kw attivano l’elettrolisi dell’acqua separando l’idrogeno dall’ossigeno. Tutto verde e fatto in casa”.
L’idrogeno nel settore della mobilità
Iveco, assieme a New Holland ha prodotto un veicolo da trasporto che, con un motore alimentato a idrogeno, potrà percorrere circa mille chilometri. Il modello “su strada”, secondo quanto dichiarato da Iveco, potrebbe arrivare nel 2023. NEMESYS (NEw Mobility Electric System) è una start up toscana fondata a fine del dicembre 2015. Già nell’aprile dell’anno successivo, ha provveduto a depositare un brevetto per la produzione di accumulatori di energia per la mobilità sostenibile e lo storage massivo, in grado di essere ricaricati, oltre che con i normali caricabatterie per auto elettriche, anche tramite iniezione diretta d’idrogeno a bassa pressione, molto più rapidamente. La soluzione studiata dalla start up è quella in grado di utilizzare l’acqua marina nel processo di generazione dell’idrogeno, evitando di “sprecare”acqua dolce – che sarà sempre più preziosa in futuro – per la produzione energetica che, a questo punto, potrà diventare competitiva e conveniente anche nei Paesi in via di sviluppo, in quelle zone in cui energia e acqua scarseggiano.
Nell’automotive si parla di idrogeno per i mezzi pesanti e c’è, in Italia, chi sta facendo test sulla migliore tecnologia green, come Westport Fuel Systems, che ha la sua principale base di mercato in Italia. L’azienda produce già componentistica per motori a idrogeno ed attraverso “una valvola” ora vuole attaccare il mercato mondiale del trasporto pesante che si sposterà sempre più verso l’idrogeno: questa tecnologia è più competitiva anche rispetto alle “tradizionali” fuel cells di cui tutti stanno parlando. La società ha circa 800 dipendenti e, negli ultimi mesi, ha avviato diversi progetti di ricerca e partnership per trovare soluzioni sostenibili per la decarbonizzazione dei trasporti pesanti. Westport Fuel Systems fornisce, già oggi, al mercato una tecnologia unica al mondo che soddisfa le esigenze di una transizione verde senza un cambiamento dell'architettura del motore dei camion, HPDI 2.0, oggi sul mercato per motori diesel, che garantisce alte prestazioni e una significativa riduzione dei costi operativi.
Per quanto riguarda l’idrogeno Westport, che è diventato quest’anno ufficialmente membro di H2IT, l'Associazione Italiana Idrogeno, negli ultimi mesi ha annunciato novità: Un progetto di ricerca per l’applicazione del suo sistema di alimentazione HPDI 2.0 ad idrogeno per veicoli industriali con Scania. I risultati sono attesi nella seconda metà del 2021 ma ci si aspetta efficienza sia ambientale che di prestazioni e costo. E poi uno studio, realizzato in partnership con AVL, azienda indipendente operante su scala globale per lo sviluppo, la simulazione e il test di sistemi di propulsione, intitolato ‘Total Cost of Ownership (TCO) Analysis for Heavy Duty Hydrogen Fueled Powertrains’. Sulla base delle risultanze di tale studio, i motori a combustione interna alimentati ad idrogeno risultano più competitivi, in termini di costi, rispetto alle fuel cell, raggiungendo al contempo prestazioni simili di riduzione delle emissioni.
I risultati parlano di una riduzione della CO2 del 23% mediante l’utilizzo di GNL fossile e garantiscono zero emissioni nette di carbonio nel caso si utilizzi bioGNL. Ma anche con l’idrogeno i risultati possono portare una grande efficienza. L’idrogeno, infatti, grazie alla sua flessibilità, può essere utilizzato in maniera complementare con diverse altre tecnologie, e contribuire così alla realizzazione di una mobilità a zero emissioni. Infatti, è stato condotto con successo un test per il funzionamento di prova di un motore pesante con la tecnologia HPDI ad idrogeno (H2-HPDI), da cui è emerso che il funzionamento del motore alimentato con l'idrogeno mostra un netto miglioramento dell'efficienza del motore e, allo stesso tempo, una drastica riduzione delle emissioni di CO2 dallo scarico.
Sul fronte ferroviario, è in corso in Italia uno studio di fattibilità sulla flotta Minuetto, i treni regionali delle Ferrovie dello Stato in servizio su tutto il territorio, che ha dato esiti positivi: i treni diesel convertiti all’idrogeno potranno viaggiare a 160 km/h e avere un’autonomia di 600 km, come gli originali. Le difficoltà sono legate alle infrastrutture: in Italia non esistono linee elettrificate che colleghino tutto il paese, e adattare una tratta ferroviaria (senza contare casi limite come tratti montani) costa dal milione al milione e mezzo a chilometro.
Sul fronte navale, invece, c’è un certo ritardo. Fincantieri ha iniziato a costruire, a Castellammare di Stabia, “Zeus” (Zero Emission Ultimate Ship), imbarcazione sperimentale alimentata tramite fuel cell, che sarà completata nel 2021. La nave sarà un laboratorio galleggiante per raccogliere informazioni sul comportamento delle fuel cell nell’ambiente reale. Le criticità, ammettono gli stessi progettisti, sono molte.
La produzione di idrogeno dai rifiuti
Maire Tecnimont ed Eni hanno presentato il progetto Waste to Hydrogen: una bioraffineria alimentata da idrogeno ottenuto dai rifiuti urbani. L’idea è di Giacomo Rispoli, ad di MyRechimical e in precedenza responsabile del Waste to Chemichal in Eni: “anche se non ti tratta di un processo del tutto green, l’impiego di materiale di scarto che non sarebbe stato recuperato è certamente un processo innovativo”. I rifiuti rappresentano una grande risorsa, perché contengono tra il 40 e il 50% di carbonio e tra il 5 e il 10% di idrogeno. Il progetto potrebbe avere presto un’applicazione concreta a Porto Marghera, dove Eni ha ufficializzato un investimento da 80 milioni di euro per la costruzione di un nuovo impianto che produrrà biocarburanti, bio olio (a basso tenore di zolfo per la navi che transitano in laguna) e idrogeno usando la frazione organica dei rifiuti solidi urbani e gli scarti di plastica non ricicabili (plasmix). Un impianto simile è in fase di studio a Taranto: permetterebbe di alimentare l’Ilva, la più grande acciaieria d’Europa, con l’idrogeno prodotto dal gas circolare, cioè realizzato da rifiuti.
Gli incubatori tecnologici dedicati all’idrogeno
Uno dei vari progetti in corso d’opera è ideato da ENEA con un investimento da 14 milioni di euro. Obiettivo è quello di sviluppare l’intera filiera dell’idrogeno, mettendo insieme le competenze di università, istituti di ricerca, associazioni e imprese, in una sorta di Hydrogen Valley. Il progetto prevede la realizzazione presso il Centro Ricerche ENEA Casaccia, alle porte di Roma, di un hub per la ricerca e la sperimentazione lungo tutta la filiera dell’idrogeno: dalla produzione alla distribuzione, dall’accumulo all’utilizzo come materia prima per la produzione di energia “verde”.
Oggi l’idrogeno verde può essere ottenuto da diverse fonti di energia rinnovabile come il fotovoltaico e l’eolico. La piattaforma di ricerca ENEA consentirà anche la sperimentazione di nuove tecnologie per la produzione di idrogeno, ad esempio, attraverso l’utilizzo dei rifiuti (biomasse residuali) e l’impiego del calore rinnovabile a media-alta temperatura prodotto da impianti solari a concentrazione. È prevista anche la realizzazione di una stazione di rifornimento per veicoli a idrogeno.
Il caso Sicilia
Anche nell’isola si va realizzando una Hydrogen Valley. Alla Regione sono arrivate 70 istanze di partecipazione delle principali società dell'energia che operano in campo locale e nazionale, oltre a startup innovative e a quattro università siciliane. Tra le società interessate al progetto ci sono Sasol, una compagnia sudafricana attiva nel settore dell'estrazione mineraria, e Sonatrach raffineria italiana, azienda siciliana con sede centrale ad Augusta, in provincia di Siracusa, che opera nel settore della raffinazione del petrolio greggio. I due gruppi hanno costituito un'Ati, Associazione temporanea di imprese, con la quale hanno aderito alla manifestazione di interesse prevista dalla giunta siciliana.
Le altre startup
STOREH Energy Storage Technologies è una startup innovativa che propone un sistema di stoccaggio dell’energia e di produzione on demand di idrogeno. HOD, Hydrogen On Demand, risolve il problema dell’intermittenza e della non programmabilità delle fonti rinnovabili rendendo possibile lo stoccaggio stagionale dell’energia. Il sistema è stato progettato e realizzato partendo dalle necessità del settore industriale e di quello domestico: costo inferiore alle attuali soluzioni di mercato, scalabilità grazie alla completa indipendenza tra potenza e capacità, sicurezza non essendoci gas in pressione e sostenibilità grazie all’utilizzo di materiali estremamente diffusi e riciclabili. HOD è inoltre applicabile anche per la stabilizzazione di reti di distribuzione e per la produzione di idrogeno per la mobilità.
Con varie sedi in tutto il mondo, tra cui una in Italia, a Crespina Lorenzana, in provincia di Pisa, Enapter al momento produce una cinquantina di esemplari al mese di elettrolizzatori da 2,2 kW, in grado di produrre circa 0,5 mc di idrogeno l’ora, ovvero una quantità di gas contenente, in forma chimica, circa 1,7 kWh di energia (cioè circa 0,9 kWh di elettricità, alimentando una fuel cell). Questi elettrolizzatori sono pensati come moduli da combinare per coprire scale via via maggiori, così da usare un solo prodotto per tutte le esigenze. Hanno anche il grande vantaggio di produrre idrogeno già a 35 bar di pressione, così da riempire le bombole direttamente, senza bisogno di un compressore, che costa e abbassa l’efficienza. Una volta accumulato il gas, questo può essere usato direttamente, per esempio, per alimentare una caldaia (non un’auto a idrogeno, che richiederebbe una compressione ulteriore a centinaia di bar), o per riconvertirlo in elettricità con una fuel cell, con rendimenti però non certo esaltanti, fra il 50 e il 60%.
Visto che l’energia sprecata se ne va come calore, per gli usi domestici si può però immaginare il recupero di quanto prodotto sia dall’elettrolizzatore che dalla fuel cell, così da usarlo per acqua sanitaria e riscaldamento. Purtroppo, i costi di questo metodo per adesso non sono molto incoraggianti. Il costo di un impianto domestico con una autonomia di 7-10 giorni, è di 18.000 euro per due moduli, 10.000 per la fuel cell e 3.000 per le bombole. Aggiungendo il costo di almeno 5 kW di pannelli fotovoltaici e, se non si è connessi alla rete, anche quello di una batteria per la fornitura istantanea di elettricità, si arriva a circa 40mila euro. Nonostante ciò, il sistema è impiegato in alcuni condomini in Thailandia, in una casa hi-tech di un magnate tedesco, in alcune comunità in Uganda e a La Reunion, in palazzi per uffici in Francia, in rifugi sulle alpi e in diverse case olandesi. Ma ancora non “sfonda” in Italia. L’elettrolizzatore è stato venduto solo a laboratori per la produzione diretta di idrogeno ultrapuro, ma zero per il settore energetico.
Questo sostanzialmente perché, nonostante sia meno pericoloso del metano o del Gpl, in quanto si disperde rapidamente, l’idrogeno è considerato un gas industriale, e richiede per produrlo e usarlo una montagna di permessi, controlli e costi, al momento improponibili per l’uso domestico.
Una leva per convincere gli italiani ad utilizzare questo tipo di impianti potrebbe essere l’abbassamento dei prezzi. Enapter pensa ad un modello, previsto per il 2024, che dovrebbe portare il costo dell’idrogeno da 9,5 euro al chilogrammo a 4,5 euro. La startup sta anche trattando con varie aziende di produzione di fuel cell, tra cui una italiana, per arrivare ad un sistema integrato “tutto in uno”, con risparmio di costi e maggiore efficienza.