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Kolyma lowland, Siberia (foto: Guido Grosse, University of Alaska Fairbanks, Usa) 
Kolyma lowland, Siberia (foto: Guido Grosse, University of Alaska Fairbanks, Usa)
  

Siberia, una 'bomba di metano' sotto il permafrost: così il caldo favorisce le fuoriuscite dalle rocce

Secondo uno studio su Pnas, l'ondata di calore eccezionale del 2020 ha causato maggiori fuoriuscite del gas dalle formazioni rocciose. Mentre lo scongelamento delle zone umide libera metano microbico

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La “bomba al metano”, cioè l’eventualità di un’eruzione di questo potente gas serra dal disgelo del permafrost della Siberia, è più vicina? Secondo gli scienziati, il rischio che si verifichi un rilascio veloce di quantità così massicce da provocare un’impennata del riscaldamento globale è minimo, perlomeno nel futuro prossimo: non si ha prova di un aumento significativo delle emissioni o di fenomeni simili nei periodi più caldi di quello attuale, registrati negli ultimi 130 mila anni. Monitorando l’Artico, però, si è scoperta l’ennesima, preoccupante conseguenza della crisi climatica.


Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, mostra come l’ondata di calore eccezionale che nel 2020 ha colpito la regione abbia causato maggiori fuoriuscite di metano da una fonte sinora non considerata: le formazioni rocciose nel permafrost – grandi serbatoi di idrocarburi – si sono sciolte rapidamente con temperature fino a 6°C sopra la media; mentre lo scongelamento delle zone umide libera metano microbico derivante dal decadimento del suolo e della materia organica, quello del calcare genera, appunto, perdite di idrocarburi presenti sia sotto sia dentro lo strato ghiacciato.


Come spiega al quotidiano Guardian, il professor Nikolaus Froitzheim, dell’Istituto di Geoscienze dell’Università di Bonn, in Germania, la ricerca ha esaminato i dati forniti dai satelliti sulla penisola di Taymyr e sull’area circostante nel Nord della Siberia. Si sono rilevate concentrazioni di metano più elevate del 5% e si è visto che i punti in cui erano più intense coincidono proprio con i confini di formazioni calcaree di diverse centinaia di chilometri. Lungo tali strisce, già perforate per estrarre il gas, non c’è terreno e la vegetazione è scarsa; il calcare, quindi, affiora in superficie e si crepa per il caldo: da lì esce il metano, prima immagazzinato nel permafrost.

Metano, il gas naturale che scalda l'atmosfera


“Abbiamo osservato un incremento notevole delle concentrazioni a partire dalla scorsa estate; ma la situazione è rimasta invariata per tutto l’inverno, nonostante il ritorno del freddo e della neve. Ciò indica che il flusso è stato costante”, precisa il professore. Poi, il monito: “Al momento l’anomalia è di scarsa entità, ma merita analisi approfondite. Ci aspettavamo più emissioni dalle zone umide, questo risultato, invece, ci ha sorpresi. Possiamo dedurre che il deposito di gas fossile sia consistente, ma non sappiamo a quale velocità venga rilasciato e, dunque, quanto pericoloso sia”.

È importante ricordare che il metano è 84 volte più potente rispetto all’anidride carbonica nell’intrappolare il calore in un arco temporale di vent’anni e che fino a oggi ha causato circa il 30% del riscaldamento globale. I suoi livelli in atmosfera sono due volte e mezzo più alti di quelli dell’epoca preindustriale e continuano a salire: la maggior parte del gas proviene dallo sfruttamento dei combustibili fossili, dall’allevamento di bestiame, dalle risaie e dalle discariche.

Normalmente il permafrost funge da tappo, sigilla al suo interno il metano e blocca gli idrati del gas. Tuttavia, questi cristalli di acqua ghiacciata contenenti enormi quantità di metano possono esplodere con l’aumento delle temperature e lo scongelamento. Se ne venisse rilasciato un grande volume, sarebbe una catastrofe: le emissioni innescherebbero un ulteriore riscaldamento, il quale, a sua volta, determinerebbe altri rilasci. Ma gli autori del rapporto sono convinti che uno scenario del genere sia ancora improbabile.

Del resto, il metano è stoccato e congelato anche in alcuni tratti degli oceani; ma a queste profondità il riscaldamento non è arrivato e non arriverà a breve. In ogni caso, qualora fosse rilasciato, il metano si dissolverebbe nell’acqua di mare e verrebbe scomposto in CO2 dai batteri prima di raggiungere l’atmosfera. Ciononostante, occorre continuare a monitorare le fuoriuscite di metano per prevenire mali peggiori.