Coste allagate dall’innalzamento delle acque. Ondate di calore. Siccità, carestie, migrazioni, guerre. Conosciamo bene cosa ci attende nel prossimo secolo a causa dei cambiamenti climatici, ma non sempre è facile immaginare le conseguenze concrete di una catastrofe che spesso sembra ancora lontana. Ad aiutarci è uno studio pubblicato su Nature Communications, che ha calcolato l’impatto del riscaldamento globale sulle nostre società utilizzando una variabile difficile da sottovalutare: il costo in vite umane. E il risultato, prevedibilmente, è agghiacciante: nello scenario peggiore, per la fine del secolo ogni anno moriranno 4,6 milioni di persone in più a causa delle emissioni di gas serra, e del conseguente aumento delle temperature globali.
Lo studio si basa su quello che il suo autore, Daniel Bressler, esperto di sviluppo sostenibile della Columbia University, definisce “costo del carbonio in termini di mortalità” (mortality cost of carbon), cioè il calcolo degli effetti che ha sulla mortalità l’emissione di ogni tonnellata di anidride carbonica in più rispetto alla situazione del 2020. Si tratta di una novità – spiega il suo inventore – rispetto al diffuso “costo sociale del carbonio” (social cost of carbon), che valuta gli effetti dei gas serra in termini economici, e permette di calcolare i benefici derivanti dalle politiche di decarbonizzazione, comparando gli investimenti necessari per tagliare le emissioni al costo delle tonnellate di anidride carbonica che possono risparmiarci.
Valutare le conseguenze delle emissioni di gas serra in termini di vite umane ha diversi vantaggi. Non ultimo, quello di mostrare chiaramente le conseguenze più immediate delle scelte che facciamo oggi. “Questo approccio ci dice quante vite saranno perse o salvate in base alle decisioni prese dagli individui, dalle aziende e dai governi”, spiega Bressler. “Quantifica l’impatto che hanno queste decisioni sulla mortalità, portando la questione su un livello più personale, e più facile da comprendere”.
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I calcoli di Bressler non sono definitivi – lo ammette lo stesso autore – ma per quanto perfettibili, si basano sulle più recenti evidenze scientifiche in tema di mortalità e aumento delle temperature medie del pianeta, dati che mancavano quando sono state effettuate le stime dei costi sociali del carbonio su cui si basano moltissime delle attuali politiche ambientali di governi e istituzioni internazionali. Stando ai suoi calcoli, ogni tonnellata di anidride carbonica in più rispetto a quelle emesse nel 2020 è destinata a provocare 0.000226 morti in eccesso entro il 2100. Una cifra che può sembrare modesta, ma che può essere messa più correttamente in prospettiva con qualche esempio concreto. Un americano oggi produce nell’arco della vita abbastanza anidride carbonica da uccidere (indirettamente, sia chiaro) 0,26 persone entro la fine del secolo. In assenza di interventi, l’aggiunta di emissioni paragonabili a quelle di 3,5 americani significherà un morto in più per il 2100.
Visti così, i dati sono utili per comprendere l’impatto delle nostre scelte individuali sulla salute del Pianeta: per gli americani, spreconi, bastano poco più di tre persone per provocare un decesso, in Brasile ne servono 25,8, in Nigeria oltre 142. Persino in un paese industrializzato (ma meno inquinante degli Usa) come la Gran Bretagna servono le emissioni di 9,5 persone per provocare un decesso extra, mentre i grandi consumatori di petrolio come Arabia Saudita, Qatar, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti e Australia hanno numeri anche peggiori di quelli americani.
Passando agli effetti dei trasporti e delle attività produttive, per ogni milione di tonnellate in più di CO2, equivalenti a 216mila automobili, 35 aerei civili, 0,24 centrali elettriche a carbone, moriranno prematuramente 226 persone. Tenendo conto di questi risultati, anche le politiche ambientali necessarie per contenere gli effetti sociali del riscaldamento globale andrebbero riviste.
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Il modello più utilizzato attualmente, chiamato Dice (acronimo di “Dynamic Integrated Climate-Economy”), fissa il costo sociale del carbonio a 37 dollari per tonnellata. Aggiungendo i decessi calcolati da Bressler, la stima schizza di colpo a 259 dollari per tonnellata. Per bilanciare i costi sociali del riscaldamento sociale con quelli della decarbonizzazione, Bressler calcola quindi che non sarà sufficiente diminuire progressivamente le emissioni a partire dal 2050, come previsto in precedenza, ma bisognerà piuttosto ridurre immediatamente le emissioni, e smettere definitivamente di utilizzare combustibili fossili entro il 2050. In questo modo, oltre a trovarci con un pianeta meno inquinato e con danni economici e sociali ridotti al minimo, si salverebbero anche circa 74 milioni di vite umane, con solo 9 milioni di morti extra entro la fine del secolo causati dal riscaldamento globale, contro gli 83 milioni previsti da Bressler in assenza di interventi radicali nei prossimi anni.