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La mossa di Bolsonaro: chiede aiuti agli Usa per smettere di disboscare l'Amazzonia

Il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro
Il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro 
Il presidente brasiliano cambia tono e parole e accetta di fare qualcosa per il polmone verde del pianeta. Al vertice sul clima del 22 aprile chiederà agli altri Stati un aiuto per contrastare gli incendi e rafforzerà le strutture di controllo e prevenzione con nuovi fondi e nuovi mezzi
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Da estremista a moderato. Il presidente Jair Bolsonaro affina il suo linguaggio e abbandona i toni da battaglia quando si parla di ambiente. Una trasformazione quasi sorprendente. Causa di forza maggiore. E' obbligato più che convinto. Ci sono fortissime pressioni dal mondo industriale stanco di crociate e uscite che hanno prodotto solo danni. Tra due giorni si apre il prevertice sul clima e l'accoglienza da Joe Biden non sarà certo entusiasta. Aleggiano ancora gli echi degli scontri, i battibecchi con Emmanuel Macron, le urla a difesa della sovranità sull'Amazzonia durante il summit di Parigi. 

Adesso è diverso. Da un anno il mondo è soffocato dal virus, nella foresta pluviale distrutta da roghi e taglialegna è sorta la variante P1 del Covid-19, il Brasile è considerato il centro mondiale della pandemia. E poi ci sono i dati sulla riduzione delle foreste amazzoniche, gli ultimi, che sono allarmanti. Secondo Deter, il monitoraggio dell'Inpe (National Institute for Space Research), la superficie di verde si è ridotta di nuovo a marzo. E' stato battuto l'ennesimo record: 367,61 km quadrati di alberi e piante sono stati distrutti. Nel 2018, altra punta di devastazione, erano 356,6; nel 2020 erano scesi a 326,49. Allora meglio gettare un ramoscello d'ulivo, accettare il dialogo, impegnarsi in qualcosa che accenda di nuovo la fiducia e spezzi l'isolamento internazionale in cui si trova il paese. 

 

L'ex capitano ha già scritto il suo discorso che pronuncerà al vertice sul clima del 22 aprile. Con un impegno: è disposto a porre fine alla deforestazione illegale entro il 2030. Ma per farlo ha bisogno del contributo degli altri paesi. In termini economici e di sostegno. Il presidente Usa Joe Biden aveva garantito 20 miliardi di dollari durante la campagna elettorale e lo ha confermato una volta eletto. Ma chiedeva appunto un gesto, una garanzia, un cambio di linea che adesso Bolsonaro sembra disposto a fare. Il discorso sarà breve per questione di tempo. Meglio. I consiglieri hanno detto che questo eviterà al presidente un'autocritica che gli costa troppo. Entrerà subito nel merito. Per ridurre drasticamente il taglio della foresta amazzonica ci vogliono più controlli; più controlli significa più uomini e mezzi per l'Ibama  Istituto brasiliano per l'ambiente) e l'ICMBio (Istituto Chico Mendes), le due agenzie governative delegate a monitorare lo stato del polmone del mondo. 

Qui, gli impegni sono più teorici che pratici. Bolsonaro vuole mantenere i militari come sentinelle della foresta, spiega che per assumere nuovo personale all'Ibama ci vogliono i concorsi, che i fondi necessari vanno inseriti a bilancio che a sua volta deve subire un nuovo scostamento e che poi non ha ancora deciso se sottrarli al ministero dell'Economia. In più, c'è il problema di chi nominare alla guida visto che, secondo i progetti del piano, i soldati dovrebbero lasciare il campo dal primo maggio. Il delegato dell'Inpe, l'ente che sovrintende alla deforestazione, Alexandre Saraiva, è stato rimosso proprio oggi dal suo incarico nello Stato di Amazonas, per gli screzi avuti con il ministro dell'Ambiente Ricardo Salles. Saraiva aveva inviato una denuncia alla Corte Suprema affermando che il ministro ostacolava le indagini sui taglialegna illegali perché difendeva i loro interessi e quelli per cui lavoravano.

Il vertice tuttavia prevale su tutto. Ricucire i rapporti con gli Usa e il resto del mondo significa aprire a nuovi investimenti, denaro fresco utilissimo in questo momento critico per il Brasile. Gli imprenditori non vogliono sprecare l'occasione. Devono recuperare le perdite. Hanno deciso di prendere la situazione in mano e hanno elaborato un documento in cui elencano proposte concrete con obiettivi e passaggi chiari. Il documento è stato allegato a una lettera inviata ai ministeri dell'Ambiente, dell'Economia, dell'Agricoltura e degli Esteri. Spiegano che se il Brasile "si impegna ad azzerare le emissioni entro il 2050 ci saranno evidenti guadagni in termini economici e di immagine", aggiunge Marina Grossi, presidente del Brazilian Business Council for Sustainable Development (CEBDS). Il documento è stato sottoscritto da firme come Bayer, Braskem, Bradesco, BFR, Ipiranga, Itaú, JBS, Shell, Siemens. I colossi della finanza e dell'industria. L'ìimpegno è ridurre del 37 per cento delle emissioni dei gas responsabili del cambiamento climatico fino al 2025, del 43 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005 celebrati nel summit di Parigi.