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Mammiferi, l'allarme degli scienziati: "Non sappiamo come reagiranno ai cambiamenti climatici"

Leopardo delle nevi (foto: Jamie McDonald/Getty Images)
Leopardo delle nevi (foto: Jamie McDonald/Getty Images) 
Il 25% delle specie rischia l'estinzione. Ma l'assenza di dati, soprattutto per gli animali d'alta quota, potrebbe far sottostimare le conseguenze del riscaldamento globale
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I cambiamenti climatici rappresentano oggi il nostro problema più grave. Eppure ancora gli scienziati non conoscono a fondo le reazioni degli animali. Soprattutto dei mammiferi di quelle zone della terra più sensibili alle mutazioni. Stando ai risultati di uno studio pubblicato nel Journal of Animal Ecology della British Ecological Society, circa il 25% delle specie è minacciato di estinzione. Un rischio aggravato dallo stravolgimento del meteo, del quale però non si conosce la portata.


Anche le previsioni sul futuro delle specie appaiono ardue da formulare. Di sicuro le conseguenze del climate change sulla vita degli animali sono particolarmente complesse. I diversi mutamenti producono effetti molteplici e contrastanti innanzitutto sulla riproduzione e sulla sopravvivenza, i due tassi demografici fondamentali. Ecco perché un team internazionale di ricerca ha deciso di procedere a una revisione degli studi raccolti sul tema. Per accorgersi che la maggior parte dei lavori sui mammiferi terrestri ha esaminato i valori dei due tassi demografici in modo separato e disorganico, senza contestualizzarne i risultati in un quadro completo dell'impatto che i cambiamenti climatici possono avere sugli animali. Soltanto 106 ricerche, su oltre 5 mila, hanno accostato e posto in relazione tra loro i dati, peraltro concernenti 87 specie, cioè meno dell'1% di tutti i mammiferi terrestri.

"I ricercatori spesso pubblicano i risultati degli effetti del clima o sulla sopravvivenza o sulla riproduzione, mai su entrambi” spiega Maria Paniw dell'Università di Zurigo, autrice principale della revisione. “Vero è che soltanto in rari casi una variabile climatica (come la temperatura) influisce in modo costante tanto sulla riproduzione quanto sulla sopravvivenza”.

Se in un determinato posto fa più caldo del solito, questo potrebbe far calare il tasso di riproduzione di un certo mammifero. Ma se i pochi nati hanno maggiori possibilità di farcela perché esistono anche pochi concorrenti, il tasso di sopravvivenza di quello stesso mammifero non ne verrà influenzato. D'altra parte, quando l'aumento delle temperature provoca un calo sia nel tasso di riproduzione che sul tasso di sopravvivenza di una specie, lo studio di uno soltanto di questi potrebbe indurre a sottovalutare gli effetti del climate change su quella popolazione.
La revisione della British Ecological Society ha anche rilevato una strana carenza di quei dati provenienti proprio dalle regioni del pianeta più vulnerabili al cambiamento rispetto alle specie che vi abitano. "Siamo rimasti sorpresi – ammette la dottoressa Paniw – dalla mancanza di dati sui mammiferi d'alta quota. Il mutamento delle condizioni climatiche dovrebbe essere molto pronunciato alle quote più elevate. Nelle nostre ricerche abbiamo incontrato alcune specie alpine, come le marmotte dal ventre giallo e i pika dell'altopiano, ma mi aspettavo almeno un paio di studi sui leopardi delle nevi”.

Niente nemmeno su insetti e anfibi, la cui progressiva estinzione è sotto gli occhi di tutti, giorno per giorno. "Sono molte le ragioni per cui questi dati non vengono acquisiti” conclude Paniw. “La principale è che la raccolta di dati di questo tipo richiede una serie di investimenti a lungo termine, che non hanno ritorno immediato e che perciò non vengono favoriti dalle agenzie di finanziamento. Si tratta di investimenti impegnativi pure sul piano logistico".

I ricercatori della British Ecological Society stanno ora eseguendo revisioni degli studi sui gruppi di animali meno considerati. "Personalmente, vorrei promuovere delle collaborazioni che diano il via a nuove ricerche, riutilizzando i dati esistenti per quanto riguarda le aree del globo più esposte al climate change e così colmare le lacune di conoscenza che abbiamo identificato nel nostro lavoro".