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Le rotte da incubo dei rifiuti plastici, così i detriti si spostano negli oceani

Le rotte da incubo dei rifiuti plastici, così i detriti si spostano negli oceani

Un team di scienziati sta sviluppando modelli per comprendere meglio per esempio come si formano le grandi isole di plastica e dove si sposta l'immondizia nelle diverse regioni oceaniche

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Come si muovono i detriti di plastica negli oceani? Che correnti e vortici seguono? Da dove arrivano? Comprendere le dinamiche fisiche e climatiche di come si spostano i rifiuti plastici all'interno degli oceani potrebbe essere fondamentale per combattere una problema che recentemente sembriamo aver dimenticato, ovvero quello dell'inquinamento da plastica. Mentre le due grandi emergenze mondiali, crisi climatica e pandemia, hanno stravolto le nostre vite, quello dell'inquinamento da plastica - con oltre dieci milioni di tonnellate di questo materiale che ogni anno finiscono negli oceani - sembra negli ultimi mesi un problema passato un po' sotto traccia. Eppure, la plastica continua a riversarsi dai fiumi ai mari e creare danni enormi agli ecosistemi marini, ma anche a economie e turismo, per esempio.


Da anni però, come alcuni ricercatori dell'Istituto americano di Fisica e altri colleghi tedeschi, gli scienziati stanno continuando a studiare e monitorare tutti quei fenomeni, in particolare fisici e climatici, che sono collegati all'accumulo di detriti plastici nell'oceano. Recentemente, ricercatori statunitensi e tedeschi, fra cui Philippe Miron, Francisco Beron-Vera, Luzie Helfmann e Peter Koltai, hanno pubblicato su AIP Publishing - Chaos uno studio che analizza, attraverso dei modelli creati, le dinamiche e le possibili rotte dei rifiuti plastici negli oceani. Perché per esempio, come nella nota "isola di plastica", più correttamente una zuppa di rifiuti galleggianti e non solo chiamata Great Pacific Garbage Patch, si accumulano così tanti detriti? 

 


Per cercare di rispondere a questa e altre domande i ricercatori hanno creato un modello probabilistico basato sulla catena di Markov, che quindi indaga le dinamiche delle superfici degli oceani e le traiettorie dei rifiuti. Questo modello sostiene la probabilità che i detriti di plastica vengano trasportati da una regione della superficie oceanica a un'altra e in questo spostamento entrano in gioco correnti, vortici, e spostamento dalle coste a determinate regioni oceaniche. Hanno così indagato come si spostano i detriti dalle coste al centro degli oceani e le dinamiche relative ai vortici subtropicali che influenzano lo spostamento e l'accumulo di detriti. Grazie alle teorie dei percorsi sviluppati i ricercatori hanno cercato di tracciare alcune rotte della plastica. "In questo lavoro, ci concentriamo sui percorsi dalla costa ai vortici subtropicali, da un vortice all'altro e dai vortici alla costa", ha spiegato Philippe Miron dell'Università di Miami. "Abbiamo identificato un canale di transizione ad alta probabilità che collega il Great Pacific Garbage Patch con le coste dell'Asia orientale, il che suggerisce un'importante fonte di inquinamento da plastica proveniente dall'Asia" continua Miron. "Inoltre la debolezza del vortice dell'Oceano Indiano come trappola per detriti di plastica è coerente con i percorsi di transizione che non convergono all'interno del vortice".
Oltre alla rotta asiatica, una delle scoperte del gruppo è che mentre il vortice subtropicale del Nord Pacifico attrae la maggior parte dei detriti, il vortice del Pacifico meridionale si distingue per trattenere i rifiuti. Queste informazioni, basate su modelli, dovranno essere implementate, così come le dinamiche di distribuzione dei rifiuti. Ma intanto gli scienziati, conoscendo le prime rotte, avvertono che i risultati "comprese le prospettive per le zone di detriti plastici che devono ancora essere analizzate direttamente, in particolare nel Golfo di Guinea e nel Golfo del Bengala, hanno implicazioni per le attività di pulizia degli oceani. Le rotte di inquinamento che abbiamo trovato forniscono obiettivi per sforzi di pulizia e gestione dei rifiuti" chiosano i ricercatori.