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«Lucio, io e il 29 settembre: un’amicizia. Quella volta con John Lennon, invece...»

Venerdì 9 giugno ad Albignasego Maurizio Vandelli presenta le sue “Emozioni garantite”, cd e libro dedicati a Battisti

Michele Bugliari
Aggiornato alle 2 minuti di lettura

Maurizio Vandelli venerdì 9 giugno ad Albignasego presenta “Emozioni garantite”, dedicato a Battisti

 

Maurizio Vandelli, leader dell’Equipe 84 negli anni Sessanta, presenterà “Emozioni garantite”, cd più libro dedicati al grande Lucio Battisti a 80 anni dalla nascita e a quasi 25 anni dalla morte, venerdì 9 giugno alle 21 a “Parole d’autore”, Parco di Villa Olbizzi, Albignasego; l’ingresso è libero. In caso di pioggia l’incontrò sarà ospitato da Palazzetto Cocco.

Vandelli, ci racconta del suo incontro con Battisti?

«Lucio l’ho conosciuto quando siamo andati con l’Equipe 84 a fare l’attrazione, 40 minuti di musica dal vivo al Casinò di Sanremo. C’erano anche i Campioni in cui suonava Battisti. Subito mi si è avvicinato un ragazzetto e m’ha detto: “Maurì, che piacere conoscerti, io scrivo canzoni, posso fartele sentire?”. Io ero un po’ scettico in genere in questi casi, però ha tanto insistito che me ne ha fatte sentire un bel po’. Nessuna mi aveva colpito in particolare però sentivo che c’era qualcosa di nuovo, sentivo che era un buon compositore».

E poi?

«Tutto quello che io feci per Lucio, perché me lo chiese insistentemente, fu di fissargli un appuntamento con il papà di Mogol, Mariano Rapetti che allora era il direttore delle edizioni Ricordi. Lo portai in auto davanti a quella porta, lui entrò e quando uscì mi disse: «Ahò, adesso non ce n’è più per nessuno, farò canzoni per tutti”. Non ho scoperto Lucio nel senso che ho detto: questo è un genio. Me ne sono accorto dopo. Il fatto poi che fossimo amici e che lui fosse spesso alla Ricordi portò a “29 settembre”. Fu veramente una cosa importante, vendemmo per la prima volta un sacco di dischi sia noi dell’Equipe che lui».

Si ricorda quando Lucio le fece sentire “29 settembre” per la prima volta?

«Lui veniva spesso a farmi sentire una nuova canzone e io dicevo: “Bella”. Un giorno disse: “C’ho una canzone per te” e si mise al pianoforte nell’ufficio del direttore artistico della Ricordi, non mi ricordo se fosse Sanjust o Colombini. Cominciò a cantare: “Seduto in quel caffè io non pensavo a te” e poi diceva: “29 settembre”».

Come nacque l’idea del giornale radio?

«Gli dissi che avrei voluto mettere una voce in stile giornale radio. Avrei voluto Riccardo Paladini, il primo speaker del telegiornale della Rai. Poi, non so come e non so perché, lui non poteva o non voleva, e allora chiamammo la voce del giornale radio della sede Rai di Milano, Gino Capponi, che registrò: “Ieri 29 settembre”. Credo di essermela inventata io questa cosa ma non ne sono più sicuro perché ci sono tante persone che dicono che è stata un’idea loro».

Poi, lei lavorò con Lucio per il suo brano sanremese “Un’avventura”.

«Quando mi contattò per “Un’avventura”, Lucio mi disse che voleva una cosa tipo Equipe 84 e io gli feci un arrangiamento nello stile della mia band. Però gli dissi: “Forse ti sei dimenticato una cosa, che insieme a te ci sarà uno che si chiama Wilson Pickett”. Lui rispose: “Hai ragione, bisogna farla più black” e così chiamò Gian Piero Reverberi che diede una veste più soul al brano con i fiati, più vicina a quella che noi prevedevamo avrebbe fatto Pickett».

“Un’avventura” è stato un brano molto rivoluzionario per la canzone italiana dell’epoca.

«È stata decisamente più rivoluzionaria la versione di “29 settembre” che incidemmo noi dell’Equipe 84 perché venivamo dal beat e di colpo mi inventai di far entrare la batteria solo sul finale mentre in tutta la prima parte non c’era. Arbore infatti dice che “29 settembre” fu la canzone che chiuse definitivamente l’epoca beat. Era un brano più ricercato, un po’ più complicato. Io nasco come musicista per cui a me piaceva fare delle cose strane, del beat mi ero stancato un pelo anch’io».

Come conobbe John Lennon?

«Ero stato invitato a casa di Marijke Koger, Simon Posthuma, erano chiamati The Fool, amici e collaboratori dei Beatles. Avevano realizzato le illustrazioni psichedeliche della Rolls Royce di John tra l’altro. Tutti cominciammo a fare una jam con gli strumenti etnici dei padroni di casa e si venne a creare un’atmosfera magica. Ad un certo punto sento un suono orribile provenire dal fondo della stanza, non riuscivo a vedere chi fosse, le luci erano basse e c’era una nuvola di fumo. Mi volto verso Lennon e dico: “Chi è quella …. che rompe i c...?” » E lui: “Temo sia mia moglie”. Io sto per svenire ma lui sorride, e mi fa capire che era d’accordo con me».

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